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Per #artistantecolore oggi vi parlo di vetrate gotiche, blu misteriosi e diatribe medievali sull’essenza del colore, che riguardavano sempre Dio, ma finivano per influenzare la moda. Ci troviamo in Francia, a cavallo tra XII e XIII secolo.

Scuole Teologiche e uso dei colori

Nel medioevo, l’arte delle grandi opere, quelle che richiedevano investimenti ingenti, era soprattutto strumentale alla comunicazione, e tutti i messaggi che era importante comunicare erano legati alla religione cristiana. Dalla scelta dei personaggi da raffigurare, alla loro posizione nella scena, fino ai colori, tutto era codificato per trasmettere correttamente il dogma. Ma i dogmi, si sa, non sono immutabili, né sono nati tali: alcuni, inizialmente, erano addirittura eresie.

Le scuole teologiche si scontravano praticamente su qualsiasi argomento e di queste diatribe troviamo traccia documentale nell’arte. Il dibattito, ovviamente, non trascurò i colori. L’esplosione cromatica che era stata il paganesimo, e che viene in parte conservata nei mosaici bizantini, per un certo periodo, quello dell’espansione del monachesimo, venne quasi del tutto ripudiata. Non si trattava solo di una pauperistica tendenza alla sobrietà, ma di una delicata questione teologica: il colore era da considerarsi luce, quindi emanazione divina, o materia, quindi qualcosa di cui liberarsi per avvicinarsi a Dio?

Cluniacensi e Cistercensi si scontrarono su questo punto per anni, i primi più propensi a considerare il colore come “visibilità dell’ineffabile” (che è la definizione che Sant’Agostino dà della luce), i secondi come dominio del demonio.

Un dettaglio del soffitto arzigogolato nel complesso dell’abbazia di Cluny.
Non vedrete mai questa complessità in una volta cistercense.
Il romanico aveva già introdotto, nei rosoni, l’uso del vetro colorato per adornare l’interno delle Chiese di colori, oltre che di luce. Eppure, quando alla fine del XII secolo, a Chartres e a Saint-Denis ci si poneva all’opera per la ricostruzione delle cattedrali, il dibattito era ancora molto sentito. Così, quando l’abate Sugerio, cluniacense di Saint-Denis, volle finanziare lo sviluppo delle botteghe artigiane di vetrai, al fine di decorare le nuove cattedrali gotiche, si trovò a dover contrastare la fervente opposizione delle fazioni cromofobiche, capeggiate niente popò di meno che da S.Bernardo di Chiaravalle, abate dell’ordine cistercense. Per nostra fortuna, Sugerio l’ebbe vinta.
Sugerio che offre una vetrata in voto, particolare di una vetrata nell’abbazia di Saint Denis.
San Luigi dei francesi

Le vetrate gotiche e il blu di Chartres

Ed è così che arriviamo al trionfo delle vetrate gotiche francesi, il cui splendore rivoluzionò non solo il modo di concepire lo spazio e la luce nelle chiese, ma anche il sentimento comune per i colori.

Ad esempio, dobbiamo al blu cobalto di Saint-Denis e, soprattutto, a quello di Chartre l’introduzione delle tonalità blu nel vestiario: Re Luigi IX di Francia, conosciuto come Saint Louis (1214 – 1270), divenne il primo re di Francia ad indossare regolarmente abiti di color blu, copiato poi dai nobili.

Il Blu di Chartres fu un successo anche tecnologico, ma putroppo non ci è dato di sapere con esattezza come sia stato possibile: la  formula fu per secoli protetta con la vita dagli artigiani, come un preziosissimo segreto industriale.

Le vetrate gotiche di Chartres sono davvero imponenti, le più vaste giunte fino a noi, fortunatamente sopravvissute alle guerre di religione e ai saccheggi degli ugonotti, che nel XVI secolo, di nuovo, avevano preso di mira l’arte e, in generale, qualsiasi cosa fosse bello e lussuoso. Ed è proprio sotto alle navate di Chartres che si pose fine alle guerre di religione in Francia, quando Enrico IV, protestante convertito al cattolicesimo, venne incoronato – sì, proprio a Chartres, e non a Reims, come gli altri sovrani francesi.
Qui a destra, Enrico IV di Fancia, che, convertendosi al cattolicesimo, pare abbia pronunciato la celebre frase: “Parigi val bene una messa”.

Delle oltre 170 scene raffigurate nelle vetrate di Chartres, una buona parte sono dedicate alla Vergine, che qui viene definitivamente consacrata al blu, senza traccia della veste rossa che tradizionalmente indossa nelle rappresentazioni medievali e rinascimentali. Notre-Dame de la Belle Verrière è la vetrata più nota, spettacolare nel suo gioco di contrasti blu-rosso che è rimasto impresso nell’inconscio di molti artisti francesi, per molti secoli avvenire.

Ma la caratteristica forse più interessante del ciclo di Chartres, almeno dal punto di vista storico, è la rappresentazione che fecero del proprio lavoro le corporazioni. Gli artigiani ottennero di venire rappresentati in parziale risarcimento del denaro che a metà dell’opera cominciava a scarseggiare. E così vediamo scalpellini, maniscalchi e mastri vetrai all’opera.
La tecnica di composizione delle vetrate prevedeva che il disegno venisse già impostato, immaginando quali tagli fossero necessari per produrre i pezzi di vetro colorato che avrebbero composto il mosaico. Questo presuppone che il disegno dovesse adattarsi alle esigenze strutturali: il piombo doveva reggere la vetrata in maniera efficiente ed omogenea lungo tutta la superficie. Il disegno veniva poi riportato su un supporto da ritagliare, per produrre i modelli per il taglio dei pezzi di vetro – le dime, diremmo oggi. I particolari bruni del volto, dei capelli e dei drappeggi, venivano disegnati con una miscela di vetro pestato e ossido di ferro. Il vetro veniva poi sottoposto ad una seconda cottura per fissare il disegno. Solo dopo, i pezzi venivano piombati.

Risorse online

Tutte le vetrate di Chartres

Per ammirare nel dettaglio le vetrate di Chartres, potete navigare questa pianta e scegliere la singola porzione da guardare, predella per predella.

Una passeggiata nella cattedrale

Per fare semplicemente due passi all’interno della cattedrale, vi consiglio questo link.

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