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Per #artistantecolore, oggi parlo di evoluzione naturale e di progresso scientifico: ecco come impareremo dalla natura a produrre colori strutturali organici, per utilizzare sempre meno i pigmenti e adottare tecnologie sempre più sostenibili per il pianeta.

 

Tecnologia del colore: come realizzeremo colori organici imitando la natura

Ingegneria naturale: pigmento e colore strutturale

In natura, esistono due tipi di colorazione: colore strutturale e pigmento

  • Il colore strutturale è dato da come la luce si comporta sulle microstrutture presenti sulla superficie su cui si rifrange, ad esempio il carapace dei coleotteri. In pratica, un questione di geometrie, basata su unità modulari dette strutture fotoniche
  • I pigmenti, invece, sono dei composti chimici, che si trovano ad esempio nei capelli, nella pelle, nelle piume. 

Il colore di molti animali, come uccelli o insetti, è dato dalla combinazione di struttura e pigmento. Il pigmento blu, ad esempio, è molto raro in natura. Di solito, si tratta di un colore strutturale che può mischiarsi o meno con un pigmento, per esempio il giallo, generando diverse sfumature di verde e turchese.

tecnologia del colore: il colore è strettamente legato all'evoluzione naturale - Occhi a confronto
Dalla collezione del Natural History Museum, occhio di Balena, di di cavallo e di orso himalayano.

In Natura, colore e visione sono strettamente legati all’evoluzione

Il modo in cui si sono evoluti gli occhi delle diverse specie è stato influenzato in due modi: dall’ambiente e dai messaggi che è opportuno cogliere per salvarsi la vita. Ad esempio, l’occhio della balena, che vede anche in profondità, ha un’apertura enorme per lasciar passare quanta più luce possibile, ma non è detto che le sia utile percepire tutte le sfumature del verde, che sono importanti, ad esempio, se si vive in una foresta. 

Ma non esistono solo i vertebrati: insetti e crostacei hanno occhi con strutture incredibilmente sofisticate e diverse, alcuni basati, ad esempio, su lenti minerali, invece che organiche. Dietro ogni occhio, però, c’è un cervello che elabora l’informazione e che si è evoluto a questo scopo.

Cosa possiamo imparare dalla natura?

Come i colori strutturali possono cambiare il mondo

L’uomo ha da sempre utilizzato i pigmenti per dipingere, per colorare gli oggetti, per segnalare e identificare – si pensi alle bandiere, agli stemmi, ai semafori, o alle luci colorate negli aeroporti. 

Solo di recente, gli scienziati si sono rivolti alla natura per sfruttare il colore strutturale. Uno degli esempi è il Vantablack, costituito da una microstruttura di nanotubi di carbonio che imprigiona tutta la luce, restituendo un nero assoluto. 

Ma esistono altre possibilità? E perché si sta indagando in questo senso?

La costruzione dei colori attraverso strutture fotoniche che imitano, ad esempio, il carapace dei coleotteri, è un’alternativa al pigmento che ci interessa per due motivi fondamentali: 

  • Il colore strutturale è più duraturo (tanto è vero che sopravvive alla morte dell’animale).
  • Grazie alla ricerca, il colore strutturale potrebbe essere più sostenibile, rispetto alla produzione dei pigmenti convenzionali. 

Il filone di ricerca è vasto, nuovo e interessante: si parla di ingegneria biomimetica, un’area interdisciplinare, tra fisica ottica, chimica, biologia e ingegneria, condotto alla ribalta da una ricercatrice Italiana, la professoressa Silvia Vignolini dell’Università di Cambridge.

strutture fotoniche su ali di farfalla

Colori strutturali iridescenti e opachi

Quando pensiamo ai colori strutturali negli animali, ci vengono sempre in mente colori iridescenti, come quelli che ammiriamo nelle piume del pavone o sulla livrea si molti insetti. L’effetto è dato dalla diversa resa della luce, che si riflette sulla microstruttura in modo diverso a seconda dell’angolazione. L’uomo ha già utilizzato soluzioni simili, ad esempio per le filigrane iridescenti delle banconote.

Ma può un colore strutturale essere completamente piatto, ossia risultare identico, a prescindere dall’angolo di incidenza? 

Potrebbe sembrare una domanda curiosa, ma in verità è fondamentale per concepire un uso industriale. Pensiamo ad un’azienda che si occupi di moda o design: la sua prima preoccupazione è che il colore sia identificabile e che risulti identico ovunque lo si applichi. Il verde Tiffany, ad esempio, è verde Tiffany in tutto il mondo, su carta, plastica, metallo, stoffa. 

In natura, i colori strutturali non iridescenti esistono e sono più numerosi di quello che pensiamo. Molti fiori li usano per dirigere gli insetti impollinatori con messaggi chiari, e non con effetti speciali, che confonderebbero loro le idee. In sostanza, si tratta solo di comprendere come queste geometrie possano essere manipolate per restituirci l’effetto che desideriamo.

La sfida, sta nel farlo in modo artificiale, ma non sintetico.

Che differenza c’è tra artificiale e sintetico?

Progettando un colore strutturale, ci si aprono due strade: 

  • utilizzare la plastica per disegnare le strutture, 
  • oppure approfondire ancora di più la nostra ricerca e arrivare allo stesso risultato manipolando materia organica. 

Entrambe le soluzioni sono artificiali, ossia progettate e realizzate in laboratorio, ma solo la prima è sintetica, mentre la seconda è organica

Questa è la missione di Vignolini che, come prima questione, si pone quella della sostenibilità per ogni nuovo materiale che progetta. Significa che la struttura deve essere sostenibile rispetto alla fonte di materia prima, quando nasce, ed esserlo quando muore, degradando nell’ambiente con il minor impatto possibile. La svolta sarebbe riuscire a farlo utilizzando solo materiali naturali come la cellulosa e la chitina, i due biopolimeri più abbondanti sulla Terra.

➝ Differenza tra artificiale e sintetico nei tessuti: leggi l’approfondimento sui nuovi tessuti ecosostenibili.

Colori strutturali organici in laboratorio: come sono fatti?

Nei suoi studi, Vignolini ha esplorato l’uso di composti di vario genere, pesino addensati alimentari. Ultimamente, si è concentrata sui batteri come fabbriche di blocchi nanofotonici, facendoli lavorare su una base di cellulosa

La grande quantità di cellulosa che serve ai suoi esperimenti pone il problema della disponibilità della materia prima: sarebbe inutile concepire un materiale biodegradabile che, per essere prodotto in modo massivo, portasse alla deforestazione. Per questo, Vignolini si concentra sull’economia circolare: attualmente, la cellulosa che utilizza nei suoi esperimenti è un prodotto di scarto dell’industria del cotone, un processo che può essere scalato anche per una produzione massiva di tipo industriale.

Attendo con molta ansia l’esito dei suoi esperimenti e dell’evoluzione organica dei colori. Voi no?

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