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I tesori Aztechi: non solo oro

Quando pensiamo ai tesori americani, ci figuriamo l’immagine dei galeoni spagnoli carichi di oro azteco, con quel che ha significato per le casse di Isabella e Ferdinando, prima, e dell’impero Asburgico di Carlo V in seguito, che nel suo stemma poteva vantare un motto assai significativo: Plus Ultra, scritto su due colonne, stilizzazione delle colonne d’Ercole.
Ciò che spesso viene trascurato dall’immaginario collettivo è che l’oro non fu l’unico tesoro che i conquistadores trovarono nel nuovo mondo e, forse, neppure il più prezioso.  Nel XVI secolo, una delle importazioni più redditizie per la Spagna fu il pigmento rosso carminio realizzato dalla cocciniglia, un insetto parassita delle piante. In Europa, il rosso brillante era un colore difficile da ottenere e soggetto a degradazione. Già si conoscevano le tecniche di estrazione dagli insetti, ma la cocciniglia europea non contiene più dello 0,8% di acido carmico, mentre il kermes raggiunge al massimo l’1%. L’insetto messicano, invece, ne contiene una quantità che può facilmente superare il 20%, proprietà che sbalordì lo stesso Cortéz.

Il rosso Azteco e la scrittura

Nelle culture precolombiane, il rosso era sicuramente il colore primario per eccellenza. Veniva utilizzato in gran quantità per gli ornamenti, gli affreschi e le vesti, ed aveva un ruolo importante nella scrittura. In un certo senso, si può dire che il rosso rappresentasse la trama stessa dello scritto. La scrittura Azteca, infatti, ha una caratteristica che la rende unica: non si legge per linee rette in una direzione specifica (ad esempio da sinistra a destra, o dal basso verso l’alto): la narrazione occupa il foglio come fosse una composizione plastica o una mappa. Per leggerla nell’ordine corretto, si seguono dei segni che legano le parti come in un mosaico: di solito si tratta di linee rosse che attraversano il foglio. Oltre al ruolo di nesso logico, il rosso riveste anche un ruolo fonetico. L’altra particolarità della scrittura azteca, infatti, è la valenza fonetica dei colori. Con un sistema di scrittura così complesso, non stupisce che  i tlacuilo, gli scribi aztechi, dedicassero tutta la loro vita ad apprendere l’arte. 

Risorse online

Ho da proporvi ben due link ai quali accedere per poter sfogliare manoscritti precolombiani, senza muovervi da casa. Il primo è un facsimile del Codex Viennesse o Vindobonesis, in possesso del British Museum,  sfogliabile qui. Il Codice viennese è ritenuto il più antico codice precolombiano giunto fino a noi, essendo molti andati perduti nei roghi dei conquistadores. Il secondo è il Vat.3773, sfogliabile nella biblioteca digitale vaticana, qui.

La cultura del rosso

L’umanità ha sempre avuto un rapporto speciale con il rosso. Antropologicamente parlando, è un colore primario. Gli antropologi Brent Berlin e Paul Kay sostengono che in tutte le culture primitive esistono termini per indicare il nero/buio/scuro e il bianco/luce/chiaro, e che il terzo colore a fare la sua comparsa nella lingua è sempre il rosso. La parola che designa il rosso a volte coincide con quella che designa il sangue, testimonianza di un legame viscerale. Si può dire che esista un rosso emblematico per ogni epoca. Nel paleolitico, il colore rosso veniva ricavato dalle terre: si pensi al rosso ocra delle grotte di Altamira, in Spagna, risalenti al Paleolitico superiore. Ricordiamo tutti il rosso porpora dei fenici, ricavato dalla conchiglia del Murex Brandaris, che colorò le stoffe dei greci e dei senatori romani e, in generale, di tutto il mondo antico fino al medioevo. Alternative meno costose esistevano, ma nessuna aveva la brillantezza delle stoffe ottenute dalla Porpora di Tiro. Nell’area mediterranea era moltousata la Lacca di Garanza, ottenuta dalla robbia, che è stata molto diffusa anche nel nord europa e nelle fiandre. Oppure si ricorreva all’ossido di piombo per ottenere una tonalità di rosso aranciato che veniva chiamata a volte Rosso Minio, perché utilizzato dai miniaturisti medievali. Già si utilizzavano insetti, in particolare il Kermes Ilicis, imparentato con la cocciniglia azteca, che produceva un colorante assai meno saturo del rosso carminio messicano, contenendo solo in piccola parte l’acido carminio. Nelle pitture murarie, invece, si continuava a usare l’ocra rossa: l’esempio più famoso è “Rosso Pompeiano”. Per tutto il medioevo proseguì la ricerca di un rosso più stabile e brillante. Nella storia dell’arte europea, il rosso ha avuto fortune alterne, visto che, soprattutto dal barocco in poi, venne associato al peccato e all’inferno, ma non si può dire lo stesso per il periodo medievale e rinascimentale. Il rosso era la trasposizione simbolica del sangue dei martiri. Veniva utilizzato nelle miniature per esaltare la parola di Dio e la stessa Vergine Maria veniva rappresentata in rosso: spesso, l’abito rosso testimoniava la sua natura umana e terrena, possiamo dire “sanguigna”, mentre il manto blu la collegava al divino.
Guardate che bel tripudio di rosso divino in Gentile da Fabriano: Padre, Figlio e angeli in coro.
Botticelli è il madonnaro per eccellenza, e anche le sue Vergini vestono abiti rossi.
Di rosso vestita anche la Madonna Litta di Leonardo da Vinci, che però non era certo uno che badasse troppo alle regole canoniche.
Era anche il colore del lusso, quello scelto dai committenti per farsi rappresentare nei propri rifratti: si pensi alle vesti di Federico da Montefeltro, ritratto da Piero della Francesca. In sostanza, però, non c’erano state novità nella produzione del rosso sin dall’antichità, finché gli arabi non importarono in occidente il rosso Vermiglio o cinabro, inventato in cina e derivato dal solfuro di mercurio, colore preferito di Tiziano. Il rosso Carminio che giunse dal Messico ebbe subito grande successo nelle fiandre, che del resto erano territorio asburgico, e divenne il più utilizzato fra i pittori fiamminghi, che erano già abituati ad usare il kermes miscelato nell’olio. E così, il rosso Carminio divenne il rosso dell’epoca moderna.

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