Giotto, aiutami tu!
Il libro dell’Arte, redatto a cavallo tra il XIV e il XV secolo, è il primo trattato organicamente monografico sulla produzione artistica, concentrato soprattutto sulle tecniche pittoriche, ma con cenni anche ad altre arti decorative. Fu anche il primo ad essere redatto in volgare, da Cennino Cennini, pittore fiorentino trapiantato a Padova.
Nato a Colle Val d’Elsa nella seconda metà del 1300, Cennini fu allievo di Agnolo Gaddi, figlio di Taddeo Gaddi, che a sua volta era stato allievo di Giotto. Di questo illustre passaggio di consegne ci dà lui stesso notizia nel Libro dell’Arte:
[…] tieni questo modo, di ciò che ti dimosterrò del colorire; però che Giotto, il gran maestro, tenea così. Lui ebbe per suo discepolo Taddeo Gaddi fiorentino anni ventiquattro; ed era suo figlioccio; Taddeo ebbe Agnolo suo figliuolo; Agnolo ebbe me anni dodici: onde mi mise in questo modo del colorire; el quale Agnolo colorì molto più vago e fresco che non fe’ Taddeo suo padre.
Per tutta l’opera, Giotto veste i panni di una Beatrice in Purgatorio, indicato come guida e umilmente chiamato a garantire sui metodi esposti. Per Cennini, Giotto è l’artista per eccellenza e a lui va il merito di aver abbandonato la maniera bizantina e di aver reso moderna e “latina” la pittura.
Il quale Giotto rimutò l’arte del dipignere di greco in latino, e ridusse al moderno; ed ebbe l’arte più compiuta che avessi mai più nessuno.
Il trattato fu scritto di sicuro nel periodo padovano, anzi, probabilmente Cennini viveva a Padova già da qualche tempo, visto l’uso frequente di termini veneti, e dalla presenza, fra gli altri santi invocati all’inizio dell’opera, di s. Antonio da Padova. Cennini infila in fondo al libro anche un capitoletto sui costumi delle donne fiorentine, che si dipingono il viso per farsi belle, contrariamente a quelle “pavane”, che l’autore elogia, non solo perché evidentemente più morigerate, ma anche per l’effetto che, a suo dire, la cosmetica dell’epoca aveva sulla pelle delle donne, facendole invecchiare e imbruttire anzitempo. Mi sono chiesta come mai sentisse il bisogno di dedicare un capitoletto all’argomento: sarà forse perché aveva sposato una padovana di buona e facoltosa famiglia?
Il difficile mestiere del pittore
Ma torniamo all’intento principale del trattato, che Cennini dichiara in un elenco concitato:
El fondamento dell’arte, e di tutti questi lavorii di mano principio, è il disegno e ’l colorire. Queste due parti vogliono questo, cioè: sapere tritare, o ver macinare, incollare, impannare, ingessare, e radere i gessi, e pulirli, rilevare di gesso, mettere di bolo, mettere d’oro, brunire, temperare, campeggiare, spolverare, grattare, granare, o vero camusciare, ritagliare, colorire, adornare, e invernicare in tavola o vero in cona. Lavorare in muro, bisogna bagnare, smaltare, fregiare, pulire, disegnare, colorire in fresco, trarre a fine in secco, temperare, adornare, finire in muro. E questa si è la regola dei gradi predetti, sopra i quali, io con quel poco sapere ch’io ho imparato, dichiarerò di parte in parte.
Non ha dato anche a voi l’impressione di voler rimarcare quanto sia complesso il suo mestiere, mettendo in guardia gli artisti improvvisati, che potrebbero sottovalutare lo studio e il lavoro necessari a diventar pittori? Cennini insiste sul punto, raccomandando ai pittori uno stile di vita disciplinato e morigerato:
La tua vita vuole essere sempre ordinata siccome avessi a studiare in teologia, o filosofia, o altre scienze.
Suddivisione degli argomenti
Capitoli 1-4 Introduzione e Abstract, come diremmo oggi.
Capitoli 5-34 Disegno.
Capitoli 35-62 Colori: come si ottengono e come si utilizzano.
Capitoli 63-66 Arnesi: come costruirsi i pennelli.
Capitoli 67-88 Tecnica dell’Affresco.
Capitoli 89-94 Pittura ad olio.
Capitoli 95-102 Applicazione dei metalli: oro, argento, stagno.
Capitoli 103-149 Pittura a tempera su tavola.
Capitoli 150-189 Pittura su supporti particolari, come stoffa, vetro e sculture e cenni sul conio.
Colori dell’Arte Medievale e Rinascimentale
La parte dedicata alle ricette e ai metodi di utilizzo dei colori è molto corposa, occupando ben 28 capitoli. Si tratta di un elenco molto prezioso, che fornisce un’idea dei materiali in uso all’epoca.
Cennini identifica 7 colori che definisce “naturali”, cioè non prodotti “per artifizio”:
Sappi che sono sette colori naturali; cioè quattro propri di lor natura terrigna, siccome negro, rosso, giallo e verde: tre sono i colori naturali, ma voglionsi aiutare artifizialmente, come bianco, azzurro oltremarino, o della Magna, e giallorino.
Nero
Prima di parlare delle ricette per il colore nero, Cennini ci spiega che per estrarre il colore ci serve una buona pietra: il marmo non va bene, è troppo tenero, e lui consiglia di fabbricarsi una ciotola di Porfirio, meglio se bello lucido, da tenere sempre pulita e protetta dalla polvere.
Per il nero, il trattato indica diversi vegetali che, carbonizzati, possono dare un nero stabile e “magro”, quindi di buona qualità, tra cui i tralci di vite e i semi delle pesche e le mandorle. L’altro procedimento per il nero, è quello della lampada ad olio: si posiziona una teglia sopra la lampada che brucia l’olio di semi di lino e poi si raccoglie il residuo fumoso che si si condensa.
Rosso
Alcuni capitoli sono dedicati ai tipi di Rosso, tra cui il Rosso Cinabro, un minerale contenente zolfo e mercurio, che Cennini consiglia di acquistare anziché fornire la ricetta per ricavarlo. In compenso, spiega dettagliatamente come acquistarne di buona qualità, senza lasciarsi ingannare da quelli che, vendendolo tritato, lo tagliano con materiali di scarto, come la polvere di mattoni. Cennini ci avvisa anche che il Cinabro non è adatto all’affresco e che non gli piace stare all’aria, poiché “vien nero” e ne consiglia l’uso su tavola. Per l’affresco a muro, invece, consiglia il Rosso Amatisto, identificato con il diaspro rosso. Fa poi menzione delle lacche e ne cita di due tipi, uno scadente e “grasso” e l’altro di ottima qualità. Si riferisce probabilmente al Rosso Carminio ottenuto da insetti simili alla cocciniglia e quella di qualità è probabilmente la gommalacca, proveniente dall’oriente e dall’India, di qualità migliore di quella mediterranea, e adatta sia alla tavola che all’affesco. Cita anche il rosso Minio e il Sangue di Drago, che però sconsiglia ai pittori, essendo più che altro adatti alla miniatura.
Giallo
Dettagliata è anche la lista dei tipi di Giallo: ocra (quella più indicata per gli affreschi), giallorino, orpimento, arzica, risalgallo, zafferano. Per alcuni di questi, Cennini consiglia di acquistare il pigmento già fatto e, come per altri colori, preferisce insegnare a scegliere quello di buona qualità piuttosto che parlare della procedura di estrazione. Anche per questo motivo, non è facile identificarli con esattezza. Ad esempio, non è chiara la natura del giallorino, anche se probabilmente Cennini si riferisce ad un derivato del piombo. Conosciamo, invece, l’orpimento, un cristallo che contiene solfuro di arsenico, già noto nell’antichità: lo utilizzavano già Egizi e Assiri, sia come colore che come farmaco e veleno. Di questo giallo, tossico, ma dal colore intenso, Cennini parlerà anche a proposito dei verdi, mischiato con l’azzurro Magna o oltremare.
Verde
Per il verde, Cennini identifica una sola fonte “naturale”, il Verdeterra, che altro non è una fumatura di una terra simile all’ocra; e una fonte di “archimia”, ossia il Verde rame. Gli altri verdi, sono derivati dalla mescolanza di giallo e blu, e ce ne dà quattro diverse ricette: il verde azzurro, che è un derivato dell’azzurro magna; il verde che si ottiene mischiando giallo orpimento e indaco; il verde che si ottiene mischiando l’azzurro Magna e giallorino; il verde che deriva dalla miscela di azzurro oltremarino con il giallo orpimento; infine, il verde biacca, che sarebbe la mistura di ocra verde con il bianco derivato dall’ossido di piombo, detto biacca.
Bianco
Prima dell’introduzione dello zinco, esistevano solo due tipi di bianco: quello di calce, detto Bianco San Giovanni, e la Biacca, che era un derivato dell’ossido di Piombo, molto utilizzato e la cui procedura di estrazione era fortemente tossica. Della Biacca, Cennini ci fa notare che è buono per la tavola, ma meno per l’affresco, perché con il tempo diventa annerisce.
Azzurro
I pigmenti azzurri erano preziosi e ricercati. Per la tintura dei tessuti c’erano diverse opzioni (l’indaco e l’isatis, per esempio), ma per la pittura le fonti principali si riducevano a due: il Magna, ossia l’azzurrite, e l’oltremare, ricavato dal lapislazzuli.
Alla stregua dell’oro, il blu oltremare era spesso fornito dal facoltoso committente. Usatissimo in Italia fra il 1300 e il 1500, veniva fabbricato a partire dai lapislazzuli provenienti dall’oriente, probabilmente dall’attuale Afghanistan, che transitavano in Europa attraverso Venezia. Cennini ne parla come di colore “bello, perfettissimo”, e si raccomanda di imparare ad usarlo bene:
E attendici bene, però che ne porterai grande onore e utile. E di quel colore, con l’oro insieme (il quale fiorisce tutti i lavori di nostr’arte), o vuoi in muro, o vuoi in tavola, ogni cosa risprende.
Il procedimento per ottenere il colore è molto complesso e studiato in modo da non sprecarne neppure il più piccolo granello di polvere. Il metodo sembra quello messo a punto sin dal XIII secolo, che consisteva nell’inglobare la polvere di lapislazzuli in una massa pastosa formata da cera d’api, resine e oli. Questo composto veniva poi messo nella liscivia, ossia idrossido di potassio, la quale consentiva la migrazione del pigmento blu alla soluzione, lasciando imprigionate le impurezze nella pasta oleosa. Si ripeteva il processo più volte, al fine di ottenere un colore sempre più saturo.
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