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Confezioni: il packaging diventa una risorsa

Confezioni: il packaging diventa una risorsa

Confezioni regalo Artistante: belle, artigianali e solidali

Il packaging è importante, ma…

Il packaging è parte dell’esperienza di acquisto: me lo ripetono da quando ho aperto lo shop online e hanno assolutamente ragione. La confezione regalo è qualcosa cui non posso rinunciare, perché nella cura della confezione metto quel tocco in più che rende l’oggetto un fatto intimo e personale.

Non è facile, però, trovare la confezione giusta. Belle, sì, ce ne sono tante, ma cosa significa produrre packaging? In sostanza, si stanno impiegando risorse per qualcosa che finisce nella spazzatura, innalzando i costi e aumentando lo scarto.

Esiste un modo per dare un valore alla confezione, trasformandola da spreco in risorsa?

Me lo sono chiesta per tre anni, e ora ho trovato la risposta: una soluzione di cui vado orgogliosa.

Confezioni regalo artigianali SOLIDALI -Artistante
Confezioni regalo Artistante: belle, artigianali e solidali

Solidarietà e Artigianato: vi presento le nuove confezioni

 

Le nuove confezioni dei foulard e delle sciarpe sono bellissime, per un sacco di motivi che ci tengo ad elencare.

 

  1. Sono fatte a mano. E che mani!
  2. Sono state create nel laboratorio del centro diurno Angori, a Castiglione Fiorentino. A crearle sono stati i pazienti con gravi disabilità psichiche e fisiche, che negli anni, grazie alla guida di G., hanno imparato un mestiere che li tiene uniti e li appassiona.
  3. Per realizzare le mie confezioni, hanno scelto la carta di gelso, morbida e delicata, che sembra quasi tessuto.
  4. Le hanno progettare con una struttura robusta, in modo che siano facili da spedire e arrivino sempre integre a destinazione.
  5. Sono perfette, anche se imperfette, perché l’artigianato è così, e spero che vengano apprezzate e riutilizzate, invece che gettate via.
  6. Non hanno nessun logo sull’esterno: così, se riutilizzerete la vostra confezione, potrete etichettarla a piacimento e personalizzarla.
  7. Ma, anche se deciderete di gettarla (con la carta!), non importa: questa è una confezione che non costituisce MAI uno spreco, perché essere una cliente del laboratorio mi consente di supportarlo.

 

Ecco dunque la risposta: la solidarietà, unita all’amore per l’artigianato.

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La lotta ai tumori si avvale di una ricerca scientifica sempre più avanzata e di soluzioni sempre più efficaci, ma l’arma migliore rimane la prevenzione.

Per questo, quando ho dovuto pensare ad un artwork per la LILT (Lega Italiana per la Lotta ai Tumori), ho cercato di rappresentare l’amore per il proprio corpo, come strumento centrale della prevenzione. Amare il proprio corpo significa ascoltarlo. Il nostro corpo muta di continuo, con l’età e con le fasi della vita, e solo conoscendolo e prestando attenzione ai piccoli segnali è possibile coglierne le esigenze. Ma non tutto si può conoscere ad intuito: per questo è importantissimo indagare, a scadenze regolari, il nostro stato generale di salute. Il vostro medico saprà consigliarvi, a seconda del sesso e dell’età, quali controlli è utile eseguire. Ciò che più conta, come sempre, è la consapevolezza.

Ringrazio di cuore la D.ssa Giorgia Buselli presso l’Associazione Metropolitana LILT di bologna, che ha voluto coinvolgermi. Sono felice e particolarmente orgogliosa di questo mio piccolo contributo.

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Backstage: le sciarpe DIPLART sotto i riflettori!

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Backstage per il nuovo formato di Sciarpe Diplart in seta-lana: il dietro le quinte

Questa è la mia prima volta!

Siete mai stati su un set fotografico? Questa è la mia prima volta! Non è la prima di Artistante: i miei foulard erano già stati fotografati a Roma, in un periodo in cui gli spostamenti fra regioni erano ancora difficili, a causa della pandemia di COVID-19. Per questo, non avevo potuto raggiungere il set, il che mi aveva lasciata con qualche rimpianto e molta curiosità.

Voglio usare questo post per prendermi degli appunti e farne tesoro, quindi scriverò qui cosa ho azzeccato, cosa ho imparato, e anche cosa ho sbagliato in questa prima divertentissima esperienza dietro le quinte.

Una prima volta anche per il formato

Ho proposto più volte le Diplart, in diverse versioni e diversi materiali, perché adoro i contrasti e perché il double-face è il modo più immediato di proporre un’alternativa. In più, soprattutto in inverno, sommare due strati di tessuto fornisce la giusta consistenza ad una sciarpa davvero comoda e coprente. Ovviamente, è importante scegliere un materiale che sia gradevole al tatto e morbido sulla pelle, soprattutto a contatto con viso. Per non sbagliare, per la nuova versione delle DIPLART ho scelto un filato misto seta-lana al 50%, prodotto, stampato e confezionato a Como.

Prima volta per il misto seta, e prima volta anche per il formato: compatto, classico, adatto al pubblico maschile quanto a quello femminile. Insomma, il mio primo formato UNISEX. Del resto, ero stufa di dare un genere alle mie sciarpe: quale capo è più trasversale? 

Quanto alle fantasie, non mi sono preoccupata di adattarle ad un genere: come al solito, sono accese e invitanti, parlano di storie a colori e di un grande amore per i contrasti e per l’armonia. 

Sciarpe seta-lana UNISEX ARTISTANTE

Ovvietà che si confermano

Il prodotto c’è, ora va rappresentato.  Per il servizio fotografico, questa volta ho deciso di spostarmi a Lucca, nello studio di Massimo Tessandori Bernini e, raccontandovi come è andata, voglio partire da una considerazione ovvia, ma non scontata.

Quando un compito sembra semplice, è perché qualcuno si è complicato la vita per renderlo tale.

Lo dico proprio io, che, in prima istanza, mi do da fare da sola e cerco la soluzione “fatta in casa”.  Grazie a questo atteggiamento, ho acquisito abilità che, con il tempo, sono diventate il mio mestiere. Per tutte le altre, mi piace smanettare, informarmi, farmi una mia idea, ma poi passo la palla ai professionisti.

Chi è il professionista? È quello che per anni si è complicato la vita per diventare esperto nel proprio settore, così, quando arriviamo noi sprovveduti a chiedere un servizio, troviamo la strada spianata.

L’impressione che ho ricavato, dopo tre ore e mezza di scatti, è che tutti sapessero cosa fare e che lo facessero con grande efficacia, rapidità, semplicità, persino divertendosi. Io stessa, che in quell’ambiente figuro un po’ come un ippopotamo in una sala da tè, mi sono divertita, perché tutto mi sembrava facile ed immediato.

In verità non lo è affatto, ma un flusso di lavoro collaudato fa risparmiare tempo e stress.

Ritmo!

Tutto era sincronizzato: soltanto io, qua e là, ho perso il ritmo.

Non avevo ragionato abbastanza su alcuni dettagli e ora, riguardando i provini, mi saltano all’occhio particolari che non quadrano.  Nel complesso poco importa, ho tanti scatti tra cui scegliere, ma sono sviste che con un po’ più di esperienza non avrei commesso. Ad esempio: perché diavolo ho fatto sedere la modella con il trench addosso? E perché la sciarpa a volte è piegata in mezzi, a volte in quarti? Perché non ho cambiato nodo, da giro a cappio, fra una foto e l’altra? E quegli angolini girati a rovescio, come mi sono sfuggiti? E via dicendo.

Se avessi avuto più tempo, più pause, sarei riuscita ad evitare le sviste? Forse qualcuna, perché non sono abituata al ritmo di lavoro che c’è sul set fotografico, ma non tutte. Semplicemente, mi mancava l’esperienza. La prossima volta, mi armerò di check list: magari con il tempo diventerò una brava segretaria di produzione.

Ferramenta ed effetti collaterali

Non è come sembra: come per ogni rappresentazione, il grosso del lavoro non è  in pedana e, fuori dalla pedana, è tutto un manipolare di ferramenta. C’è tanto hardware e molta, molta pratica. Magari non ci si sporca come quando si dipinge, ma non c’è poi tanta differenza.

Stare in mezzo a tutta quella attrezzatura mi ha fatto venire voglia di rinnovae la mia. Improvvisamente, voglio cambiare i miei monitor e risistemare lo studio, modificando tutti gli spazi e tutti i piani di appoggio.

L’invidia dell’hardware è uno degli effetti collaterali cui vado più soggetta in qualsiasi studio professionale che abbia a che fare con la creatività o con la progettazione. Si tratta di un’illusione che spinge a pensare che possedere TUTTA la strumentazione possibile dia automaticamente dei vantaggi. Eppure, proprio guardando Massimo, si capisce subito che non è una questione di quantità, ma di affinare solo quegli strumenti che si adattano al proprio stile e al proprio scopo. E non tutto può essere acquistato in un negozio di elettronica. 

Detto ciò, sto forse per compare un monitor con una gestione del colore che simuli la quadricromia, anche se in 20 anni ho imparato a farne a meno? Forse sì.

Esercizi di disegno cavernicolo: davvero per tutti!

Esercizi di disegno cavernicolo: davvero per tutti!

“Disegnare male” è un concetto storpio che la nostra naturale propensione al grafismo deve imparare ad ignorare.

Ecco il manuale gratuito per disegnare, anche se non sai disegnare.

manuale gratuito di disegnare, anche se non sai disegnare

Cosa è il manuale di disegno cavernicolo?

Non so disegnare. 

Nessuno mi ha insegnato e io non ho mai studiato disegno. Il fatto che io disegni molto è pura abitudine, ma non significa che lo faccia “bene”. A questo punto devo fare una precisazione: quando dico “disegnare bene” intendo il tipo di disegno, realistico o meno, che rispetta determinate proporzioni e regole prospettiche.

Poiché non so disegnare, non posso neppure insegnarlo e questo, infatti, non è un manuale per “disegnare bene”. Se farete gli esercizi contenuti in questa raccolta, scoprirete due cose: la prima, ve ne accorgerete subito, è che disegnare male non è un limite; per la seconda ci vorrà forse più tempo, e magari non sarà sufficiente quello che passeremo insieme, ma per alcuni di voi sarà entusiasmante scoprire che il disegno vi serve, come vi servirebbe una seconda o terza lingua, ma senza la grammatica, perché disegnare è naturale.

esercizi di disegno, Paola Vagnoli ARTISTANTE

Cosa impareremo con gli esercizi?

Torneremo indietro, nella caverna. Impareremo a disegnare con obiettivi molto semplici e mirati, ma senza nessuna regola, per sbloccare meccanismi che possediamo, ma che usiamo troppo poco. Come ho detto, non posso insegnarvi a disegnare, ma cercherò di accendere un interruttore, in modo da far luce in una zona della vostra mente che avete messo a dormire intorno ai dodici anni. O alcune migliaia di anni fa.

Nel peggiore dei casi, vi divertirete e basta. Nel migliore dei casi, vi si accenderà una scintilla e prenderete una buona abitudine, utile in modi che adesso neppure sospettate.

Ecco la lista degli esercizi:

1 ◆ Riempi una scatola

2 ◆ Aggiungi un gufo

3 ◆ Guardati fuori

4 ◆ Guardati dentro

5 ◆ Assembla un mostro

6 ◆ Cataloga una stanza

7 ◆ Disegna una mappa

8 ◆ Inventa un alfabeto

Dove si trova il manuale?

Il manuale è gratuito e si scarica da questo sito: basta iscriversi alla newsletter per ricevere il link per il download. Trovi il form per l’iscrizione anche in fondo a questa pagina!

esercizi di disegno, Paola Vagnoli ARTISTANTE
Il primitivismo: l’arte alla ricerca delle origini

Il primitivismo: l’arte alla ricerca delle origini

“Nell’arte si può cominciare anche da capo, e ciò è evidente, più che altrove, nelle raccolte etnografiche.” Paul Klee

Il primitivismo nell’arte è uno fra gli argomenti che più mi affascinano dell’arte contemporanea.

Quando parliamo di arte primitivista, ci vengono subito in mente pittori come Gauguin o Rousseau (il pittore). Il primitivismo, però, ha molte facce e nei secoli ha assunto significati diversi, alcuni dei quali piuttosto ambigui, legati ad una visione eurocentrica della civiltà. Ma andiamo con ordine.

il primitivismo nell'arte - dal primitivismo ottocentesco ad oggi

Cos’è il primitivismo

Il primitivismo nasce come utopia. Si lega al mito del “Buon selvaggio”, caro a Rousseau (questa volta il filosofo), e specula su un’umanità pura, non corrotta dal progresso. Per primitivi, si intendevano sia gli antenati, e in questo caso si parla di primitivismo cronologico, che i popoli che vivono lontani dalla civiltà occidentale, il che al tempo includeva un po’ tutte le popolazioni che subivano il colonialismo europeo, e in questo caso parliamo di primitivismo culturale. In entrambi i casi, il termine primitivismo non si riferisce alle arti primitive o tribali in sé, ma all’impressione e le suggestioni che queste provocano nell’uomo europeo. 

Giambattista Vico nel 1700 fu tra i primi a sostenere che i popoli “primitivi” fossero più vicini alla fonte dell’ispirazione artistica di noi uomini moderni civilizzati. Vico inaugurò precocemente un dibattito sull’arte che rimase a lungo confinato al pensiero filosofico.

I primitivismo nell’arte: i romantici

Quando toccò agli artisti prendere in mano la questione, era già passato un secolo. I primi primitivisti aderivano a quelle correnti romantiche che, come i preraffaelliti inglesi e i nazareni tedeschi, si sforzavano di superare il dominio classico sull’arte, rivalutando il medioevo alla ricerca di un purismo e di una spontaneità perduta, a loro avviso, con la canonizzazione rinascimentale. Una reazione tutto sommato comprensibile: l’arte rinascimentale italiana aveva sconvolto il mondo con una visione talmente potente, che per un certo periodo tutto, ma proprio tutto, dovette fare i conti con una ingombrante pietra di paragone. Per trovare una strada alternativa, non si poteva far altro che tornare indietro e ricominciare.

Quello che i preraffaelliti e i nazareni non fecero mai, però, è rompere del tutto lo schema compositivo prospettico. 

preraffaieliti: primitivisti romantici
John Everett Millais, Ophelia

Le rivoluzioni del 1800

Nel 1800 accadde qualcosa di rivoluzionario, paragonabile a quello che è stata ai giorni nostri la rivoluzione informatica e internet: l’invenzione della fotografia. La diffusione di immagini realistiche ebbe un impatto che ancora adesso fatichiamo a quantificare. Non racconti e resoconti, non disegni di artisti e di scienziati, non carovane di mercanti con i loro souvenir esotici e i loro campionari bizzarri: per la prima volta, il mondo veniva rappresentato per immagini che, con un azzardo logico enorme, potremmo definire “vere”. 

La rivoluzione fotografica travolse l’arte. Se, da una parte, spinse l’iperrealismo, dall’altra disgregò la luce e la prospettiva. Fu come se, di punto in bianco, all’arte venisse tolto il vincolo della rappresentazione del vero e del verosimile. 

Le prime alternative furono proposte dall’impressionismo e dal puntinismo: ritroviamo la grana della pellicola impressionata dalla luce, la scomposizione di quest’ultima nei colori primari per effetto dell’ottica e la rapidità di esecuzione. Ritroviamo anche quegli effetti che, certamente, dovevano affliggere molte delle immagini fotografiche dell’epoca: le foto erano sì “vere”, ma sovraesposte, buie, sfocate e macchiate dagli acidi, oltre che piene di difetti causati dai supporti e dalle finiture.

Il vero non era perfetto, evviva. A questo, si aggiunse che per la prima volta si cominciava a parlare di geometria non euclidea e chi gli imperi europei avevano ormai instaurato contatti permanenti e semplificati con ogni angolo del pianeta, ed ecco che, nel giro di pochi decenni, i punti di vista si erano moltiplicati.

Monet, padre dell'impressionismo
Impressionismo: Claude Monet, Ninfee

Due facce del primitivismo: Gauguin e Rousseau

In questo mondo dilatato, il primitivismo assunse due facce: quella paternalista, che ancora si fondava sul mito del buon selvaggio, giustificando il colonialismo e una forma accondiscendente di razzismo, e quella che rinnegava il primato culturale europeo, cercando altrove antiche fonti di saggezza e virtù. Questo altrove poteva essere un luogo geografico, oppure il tentativo di recuperare un’ancestrale innocenza, riportandosi indietro nel tempo, alla ricerca dell’archetipo.

È difficile e, a mio parere, fuorviante, cercare di collocare ogni artista in una posizione precisa fra questi due poli. Gauguin (1848-1903), ad esempio, è stato accusato di mascherare razzismo e pedofilia dietro l’idealizzazione del mondo senza peccato che raffigurava. A questo proposito vorrei dire solo che non sono gli artisti ad essere illuminati, solo l’arte lo è: gli artisti possono essere anche delle pessime persone. 

La ricerca di Gauguin fu di tipo filosofico, più che stilistico, il che non significa che il suo stile non ne venne influenzato, soprattutto nell’uso del colore, ma non arrivò agli estremi destrutturanti che il primitivismo conobbe dopo di lui. 

In un certo senso, quella di Gauguin fu una fuga vera e propria, armi e bagagli, dalla civiltà (e moralità) europea che gli andava stretta. 

Negli stessi anni in cui le sue opere circolavano a Parigi, c’erano altri che evadevano dalla società senza muoversi da casa: è il caso di Henri Rousseau (1844-1910), che si ispirava alle vedute tropicali di pittori olandesi (che occupavano il nord del Brasile) per dipingere le sue giungle, con sempre maggior fervore e abbondanza di dettagli. Ingenuo e privo di una preparazione artistica, il doganiere fu deriso dalla critica e salvato dal giudizio di gente come Picasso e Kandinsky, che nelle sue opere leggevano la necessità spirituale di un ritorno alle origini. 

Le opere di Gauguin e Rousseau, per un verso o per l’altro, avevano risonanza a Parigi, insieme a quelle degli impressionisti e degli espressionisti, e sembrava che gli ismi continuassero a nascere come funghi in ogni caffè e ad ogni evento espositivo. Fu un’epoca eccezionale per la capitale francese, e il meglio doveva ancora venire; e il meglio era Pablo Picasso.

Gauguin padre del primitivismo
Paul Gauguin
arte primitivista: henri rousseau
Henri Rousseau

Il fauvismo, l’arte africana e Pablo Picasso

Nel fermento dei primi anni del 1900, vi fu un momento di passaggio che interessò diversi artisti, che di fatto non si identificarono mai in un gruppo o in un manifesto. Questo fenomeno prende il nome di fauvismo, da Fauves, che in francese significa “belve selvagge”. 

Il movimento venne alla luce quando, nel 1905, alcune opere di giovani autori che si distaccavano apertamente dall’impressionismo, vennero esposte nel Salon d’Automne di Parigi. Pare che il critico d’arte Vauxcelles, entrando nella sala, la definì, appunto, una gabbia di belve, scioccato dai colori violenti e dall’immediatezza compositiva delle tele. Fra quelle tele, c’era la donna con cappello di Henri Matisse (1869-1954)

I fauvisti erano ispirati da Gauguin, ma anche dagli espressionisti, da cui però si differenziavano perché disinteressati agli aspetti esistenziali o alla polemica sociale. Si concentravano sul gesto istintivo, abolendo la prospettiva e il chiaroscuro, e facendo uso di colori vivaci e puri. Spremevano i colori direttamente dal tubetto sulla tela per esaltare l’immediatezza dell’atto creativo, ispirandosi all’arte primitiva, in particolare a quella che riconoscevano nei manufatti africani. Si coniava in quegli anni il termine “art négre” per indicare tutte le espressioni artistiche extra europee, incluse quelle asiatiche e dell’oceania. Solo in seguito l’ambito venne ristretto all’arte tribale africana. Matisse era fra gli artisti che più apprezzavano il genere e fu un collezionista di manufatti tribali africani. 

Come si è detto, i manufatti africani, o di altre etnie, non venivano studiati in relazione alle proprie culture, ma ammirati per la loro forma innovativa, senza nessun tipo di approfondimento antropologico o storico. Se ne ricavano impressioni di diverso tipo, avvolte in un alone di mistero che mescolava sacro e profano in un calderone esteticamente travolgente. 

Fu proprio questo calderone fumante, su cui i fauvisti attirarono l’attenzione degli artisti, a impressionare il giovane Pablo Picasso. Nel linguaggio stilizzato e fortemente espressivo delle sculture africane, Picasso vide una potenza totalmente nuova, sganciata dalle leggi prospettiche e dalla fedeltà all’oggetto ritratto, che fu il seme da cui germogliò il cubismo.

Matisse: fauvismo. Donna con il cappello
Donna con il cappello, Henri Matisse
Arte africana e primitivismo - fauvismo
Maschera africana

Pablo Picasso primitivista e cubista

Picasso (1881-1973) fu talmente tante cose, che definirlo un primitivista è come parlare di idraulica definendo Da Vinci (che cmq se ne intendeva: aveva addirittura progettato di deviare l’Arno per far dispetto ai pisani). Ma, sebbene Picasso trascenda il primitivismo, non si può parlarne senza legare il suo nome alla riscoperta dell’origine archetipa dell’espressione artistica.

La precoce formazione artistica di Picasso e le sue incredibili doti come pittore classico, avrebbero fatto di lui un artista di fama mondiale anche senza l’evoluzione avanguardista. Eppure, in lui ardeva un fuoco rivoluzionario e la sua ricerca ha costituito uno spartiacque nella storia dell’arte. 

Di se stesso disse: “A quattro anni dipingevo come Raffaello, poi ho impiegato una vita per imparare a dipingere come un bambino”

Come abbiamo detto, una fonte di ispirazione cui attinse a piene mani fu l’arte africana, influenza evidente soprattutto nella sua produzione scultorea. Inizialmente, si dedicò ad opere lignee che esploravano lo stile geometrico e sintetico delle maschere rituali africane.

Il potere delle maschere non smise mai di affascinarlo, tanto che Picasso commentò così un’esposizione che visitò nel 1907: “Le maschere non erano come le altre sculture: erano qualcosa di magico, si ergevano contro tutto, contro gli spiriti ignoti e minacciosi. E io continuavo ad ammirare quei feticci… E capii. Anch’io mi ergo contro tutto. Anch’io credo che tutto è sconosciuto, tutto è nemico”.

Successivamente, le sue sculture si fecero più complesse, anche nell’uso di materiali che includevano, oltre al legno, metallo e ceramica, e nel frattempo succedeva qualcosa di davvero importante nel suo linguaggio pittorico.

Nell’opera giovanile Demoiselles d’Avignon, del 1907, Picasso libera definitivamente la prospettiva, esplodendo le forme sulla tela: questo è insieme un punto di rottura e un punto di partenza. Nello stesso anno, i fauvisti si disgregavano, ma Picasso ne aveva raccolto l’istanza primitivista e l’aveva trasformata in qualcosa di completamente nuovo: il cubismo

Picasso scultore a galleria borghese a Roma
Picasso scultore a galleria borghese a Roma
La favolosa commistione fra le sculture classiche di Galleria Borghese a Roma e quelle primitiviste di Pablo Picasso.
Picasso cubista
Demoiselles d’Avignon, Pablo Picasso – il primitivismo nell’arte e il cubismo

Il primitivismo nell’arte contemporanea: da etnocentrico a universale

A differenza di altri movimenti, come fu ad esempio l’impressionismo, il primitivismo non si lega precisamente ad un periodo storico. La critica al progresso e la necessità di una ritrovata innocenza si rintracciano in tutte le epoche, ed ecco che il primitivismo rinasce in continuazione. 

Oggi, le contaminazioni culturali sono sempre più frequenti, in senso positivo di integrazione e negativo di scontro, anche cruento. Così, alcuni artisti e designer sentono ancora più forte l’esigenza di indagare un paradigma essenziale, che parli all’umanità con un linguaggio condiviso e universale

In questo dibattito, l’artista non si confronta solo con la propria creatività e i propri mezzi espressivi, ma spesso si interfaccia con i processi industriali. Queste interazione danno vita, ad esempio, a un nuovo concetto di produzione artistica che utilizza processi industriali, sia a monte, che a valle della produzione stessa, con la nascita dell’arte del riuso, in cui sono i materiali di scarto a fornire materia prima ed ispirazione. 

Un esempio di queste interazioni lo ritroviamo nella poetica di Francesco Faccin, artista e designer milanese, che ben rappresenta la contaminazione tra industria e ricerca primitivista dell’essenziale, che come risultato sembra instillare l’anima nei manufatti umani. 

In una sfumatura diversa, il graffitismo di artisti come Haring e Basquiat ci racconta di una simbiosi tra simbolismo primitivista e il paesaggio urbano e metropolitano: anche in questo caso, siamo di fronte al tentativo di rinnovare, nell’era industriale globalizzata, la spontaneità del gesto creativo.

Affianco a questo, che potrei definire “animismo industriale”, troviamo anche un primitivismo puro, che cerca nella natura, lontano dall’industria, la sua fonte di materia prima e ispirazione. Che si tratti di una volontà critica nei confronti della società, o semplicemente dell’adesione ad un linguaggio quanto più atavico e universale, il primitivismo naturale è presente e vivo a livello mondiale.

Primitivismo oggi

Vorrei segnalarvi qui due fra i miei artisti preferiti, meno noti di quelli che abbiamo fin qui nominato, ma interessanti per dare uno sguardo al primitivismo contemporaneo:

Anche nella mia produzione artistica sono alla costante ricerca di un linguaggio che esalti l’istinto creativo lontano dalle esigenze realistiche. Alcune tele del Ciclo Nordico ne sono l’esempio.

acrilico su tela - paola vagnoli - artistante - marrone

A proposito di colori, nella ricerca primitivista contemporane, alcuni colori assumono un ruolo importante. Fra questi il nero e il marrone.

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Una mostra personale a prova di pandemia

Come per la sfilata di moda virtuale, la collaborazione fra creativi inventa modi sempre nuovi per condividere l’arte. Grazie a questo progetto Aladar Music, le mie tele e i miei disegni hanno trovato un luogo sicuro per essere condivisi. Seguitemi in questo tour virtuale di soli 5 minuti, una veloce carrellata che ospita sia gli acrilici su tela, che opere in digital art, come i ritratti femminili e alcuni dei pattern destinati ai tessuti.

Perché una mostra pittorica virtuale

Alcuni di noi storcono il naso anche solo a sentire la parola “virtuale”. Del resto, niente sostituirà mai l’esperienza dal vivo, perché apprendiamo e amiamo non solo con la mente, ma anche con i cinque sensi.

Internet, però, ci offre un’opportunità che stiamo imparando ad apprezzare a causa delle restrizioni dovute alla pandemia, ma che possiamo sfruttare anche in tempi liberi dalla paura del contagio. I canali di diffusione dell’arte non sono mai troppi: se per conoscere un’artista dall’altra parte del mondo devo accedere al suo canale youtube o al suo profilo su Instagram, sono grata al web di poterlo fare. 

Ti invito quindi a farmi visita in questo luogo, all’apparenza distante e asettico, ma pieno dei miei colori e di quello che davvero importa: una visione artistica.

Grazie a tutti per la visita!

 

Artworks by Paola Vagnoli artistante.com
Music by Soulwaves
Video Montaggio by Aladar Music
www.aladarmusic.com

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Fashion Show a prova di COVID

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fashion show: collaborazione artistica per sorridere anche durante la pandemia

Non c’è bisogno di parlare dei grandi temi sollevati dalla Pandemia: per le informazioni importanti già seguirai decine di testate giornalistiche, TV e siti web. Qui parliamo solo di piccoli inghippi quotidiani, quelli che, in un futuro speriamo non troppo lontano, ci faranno sorridere.

In futuro… ma perché non iniziare ora a riderci su?

Inizio io, raccontando la storia di un servizio fotografico molto speciale.

Fashion Show a prova di COVID!

Niente servizio fotografico in piena pandemia, come fare? Modelle immuni al COVID, ecco l’idea! La creatività di due sorelle ha collaborato per mettere su uno show alternativo, che fosse glamour e divertente allo stesso tempo. Usando le foto dei foulard che ho scattato al bustino, Gabriella Vagnoli ha creato delle modelle molto speciali, piene di fascino e a prova di contagio.

foulard di seta, sfilata nuova collezione

Camille

Indossa
Foulard di seta
ARTICO

foulard di seta, sfilata nuova collezione
foulard di seta, sfilata nuova collezione

Guendalina

Indossa
Diplart Seta-Cotone
Cajuina

Come è nato il Fashion Show di Artistante

È da ottobre che parlo dei miei foulard, anzi, da prima: in estate vi avevo già proposto alcune delle fantasie che poi sarebbero finite stampate su seta. Foulard, foulard, foulard: ci ho messo due anni a produrli e non aspettavo altro che il momento di presentarli.

A Marzo, quando la situazione dei contagi ci ha fatti andare in lockdown per la prima volta, ho titubato. Ero ad un passo dal traguardo: avevo i contatti giusti, stavo per decidere cosa stampare e in che quantità, ma era saggio investire in un prodotto costoso in piena pandemia?  No, non credo fosse il momento giusto, ma dopo qualche settimana mi sono resa conto che rinunciare sarebbe stato deprimente. E allora vai: ho messo in conto che sarebbero riamasti nel cassetto a lungo, ma i foulard non passano di moda, non sono merce deperibile e io avevo bisogni di concludere un ciclo lungo due anni.

Quindi sono partita. In Estate sembrava che il COVID fosse sotto controllo e, sebbene tutti ci aspettassimo una seconda ondata, speravamo che, con tutte le precauzioni del caso, ti potesse continuare a lavorare. Così ho prenotato un servizio fotografico, perché volevo fare le cose davvero per bene.

Ad ottobre, però, ho cambiato idea. La situazione non era ancora quella di adesso, ma mi sono detta che non avrei rischiato la salute delle modelle, della fotografa, della truccatrice, solo per delle foto, quindi ho fermato il progetto. Non annullato: solo rimandato. Fatto sta, che non avrò le foto per Natale.

È la cosa giusta, con o senza Lockdown, ma uffa!

Forse non vi ho ancora detto che ho una sorella. Si chiama Gabriella Vagnoli, vive negli USA, ha solo due anni meno di me, ed è un’illustratrice di libri per ragazzi. Non ci vediamo da un po’: avrei dovuto prendere un aereo ad agosto per andare da lei, ma non me la sono sentita. Anche con lei mi sono lamentata: uffa sei troppo lontana, uffa non vedo i nipoti, uffa non posso neppure fare il servizio fotografico per i foulard! (in ordine discendente di importanza, ovvio).

Due teste creative, una soluzione divertente

Ed è così che, un po’ per scarabocchiare mentre ascoltava una conferenza online, un po’ per perdersi gioco dei miei uffa e farmi sorridere, Gabriella ha partorito la prima Top Model a prova di COVID. L’ho adorata subito! L’ho pregata di farmene altre, scegliendo a caso fra i foulard e le stole, e alla fine ne sono nate cinque, tutte piene di fascino e divertenti quanto basta per trasformare il problema photoshooting in una risorsa di buon umore.

E con la Musica, le teste creative diventano tre!

Grazie a Francesco Pratesi del progetto Aladar Music, che mi ha messo a disposizione il brano Groove 3 per la soundtrack! Aladar Music è una canale di arte e musica: “Brand new iChannel about Music, Photography Expo, Art Galleries and Travels. Free playlists and videos from new artists of different kind of music.”

Ti è piaciuto il Fashion Show?
Io e Gabriella speriamo di averti fatto sorridere.

Scrivilo nei commenti per farmelo sapere.

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foulard di seta edizione limitata - come sono fatti - ARTISTANTE

Piegare, girare annodare: come indossare il foulard quadrato

 

Il foulard di seta deve il suo successo al perfetto connubio tra praticità e stile. Portato al collo, grazie alle proprietà isolanti della seta, è un rifugio perfetto per la gola, sensibili in tutte le stagioni agli sbalzi di temperatura. Ma diciamoci la verità: il foulard è soprattutto un accessorio artistico, capace di impreziosire anche l’outfit più semplice con un tocco di personalità, oltre che di colore, il che lo rende anche uno dei regali ideali per gli amanti del fashion, ma anche dell’arte. Lo si può mettere, togliere e rimettere, poi riporre nella borsa all’occorrenza: il twill di seta è più resistente di quanto si creda, non si spiegazza facilmente ed è leggero, quindi pratico da portare con sé anche in una pochette molto piccola. Le ragazze più estrose sono capaci di abbinare anche due foulard per volta, con sue fantasie diverse, magari uno da collo e uno in vita, oppure appeso alla borsa. Il foulard ha in genere una misura standard di 90×90 cm, ma nel caso di foulard più grandi, come i 140x140cm, è anche possibile ideare graziosi corpetti estivi, da indossare al posto del top. Per ora, limitiamoci alle basi: ecco una guida illustrata che ti insegna come indossare il foulard di seta in ogni occasione.

come indossare il fuolard di seta quadrato, guida illustrata

Alcune regole essenziali per scegliere e portare un foulard

  1. Il foulard di seta si abbina su qualsiasi tessuto, ma fossi in te eviterei di mischiarlo con tessuti acrilici lucidi che ne simulano la consistenza. Molto meglio abbinato a tessuti naturali, come cotone o lana.
  2. Un foulard che si rispetti ha il verso colorato, non biancastro, ma fai lo stesso attenzione, quando lo pieghi, a presentare all’esterno sempre il fronte del foulard, dove la fantasia è più definita e ricca di dettagli.
  3. Scegli foulard che abbiano l’orlo cucito a mano: è più rifinito e non ti verrà voglia di nascondere i bordi perchè antiestetici. I migliori laboratori che effettuano questo tipo di lavorazione si trovano a Como, capitale italiana della produzione serica.
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Per partire: come piegare il foulard

Quasi tutti i modi di indossare il foulard quadrato partono da due piegature, una che chiameremo “banda” e una “triangolo”. Inizia quindi imparando a piegare il foulard seguendo questi semplici passaggi, ti sarà più facile seguire questa guida su come indossare il foulard.

Individua il fronte e il retro del foulard

Come prima cosa, individua il retro del foulard: ti puoi aiutare osservando l’orlo. Dopo che avrai piegato il foulard, il fronte deve risultare all’esterno. Per iniziare, stendilo con il retro verso di te e il fronte verso il basso.

Guida come indossare il foulard di seta

Piega il foulard a Banda

Segui le illustrazioni per imparare a piegare il foulard quadrato di seta ed ottenere una banda, con il quale potrai giocare per inventare modi sempre nuovi di indossarlo.

Guida come indossare il foulard di seta
Guida come indossare il foulard di seta
Come piegare un foulard di seta a banda

Piega a Triangolo

Il triangolo può essere di due tipi: semplice, ottenuto piegando in due il foulard sulla diagonale, oppure con la banda, che si ottiene girando una fascia del triangolo su se stessa.

come indossare il foulard, piega a triangolo
Come indossare il foulard piagandolo a triangolo per ottenere una bandana
Come indossare il foulard piegandolo a triangolo per ottenere una bandana

Come indossare il foulard al collo

Ecco 6 modi semplici e stilosi di portare il foulard al collo. Ricordati che puoi sempre utilizzare la piega a banda per inventare altri modi, ad esempio per portare il foulard al posto della cintura o per abbellire la tua borsa.

come indossare il foulard di seta al collo per un look casual western
Scopri 7 modi di indossare il foulard al collo

1. Nodo laterale

Parti dalla piega a banda e lega il foulard con un nodo laterale, lasciando liberi gli estremi di muoversi incorniciando il tuo viso e i tuoi vestiti. Questo è il modo più semplice e sbarazzino.

Scopri 7 modi di indossare il foulard al collo

2. Western Semplice

Parti dalla piega a triangolo semplice, gira i lembi dietro al collo e portali davanti, lasciandoli svolazzare ai lati.

Scopri 7 modi di indossare il foulard al collo

3. Western Fermo

Parti dalla piega a triangolo semplice, gira i lembi dietro al collo e portali davanti per chiuderli sotto al mento.

Scopri 7 modi di indossare il foulard al collo

4. Western Libero

Parti dalla piega a triangolo semplice, gira i lembi dietro al collo e portali davanti per chiuderli sotto al mento, ma questa volta fai il nodo sotto al triangolo che fa da bavero.

Scopri 7 modi di indossare il foulard al collo

5. Triplo nodo

Parti dalla piega a banda, fai tre nodi sul davanti e lascia il foulard cadere come una cravatta o una treccia.

Scopri 6 modi di indossare il foulard al collo

6. Fiocco

Parti dalla piega a banda, fai un nodo di lato e chiudi a fiocco, per un effetto iper romantico.

Come indossare il foulard in testa sui capelli

Ecco 3 modi semplici di indossare il foulard per impreziosire la capigliatura o…nasconderla!

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3 modi di indossare il foulard sulla testa

1. Contadina

Parti dalla piega a triangolo con la banda, appoggia sulla fronte la parte centrale poi gira gli estremi dietro, annodandoli sulla nuca, sotto ai capelli.

3 modi di indossare il foulard sulla testa

2. Zingara

Parti dalla piega a a triangolo con la banda, poi gira dietro la testa gli estremi, legandoli supra al foulard e ai capelli.

3 modi di indossare il foulard sulla testa

3. Romantica

Parti dalla piega a banda, creando una fascia sui capelli, con i lembi legati dietro alla nuca.

Il foulard indossato dagli uomini

Sono pochi gli uomini che possiedono un foulard. La maggior parte non saprebbero indossarlo, ma questo è un tabù facilmente aggirabile: basta iniziare. Il foulard, anche nel suo formato più classico, 90×90 cm, e persino con le fantasie più sgargianti, è un accessorio duttile che ha il pregio di mettere in risalto, con un piccolo tocco, una personalità decisa e complessa.

Il materiale è importante: seta, ovviamente. Un bel twill brillante e morbido sul viso e sulla pelle sarà gradevole da portare in ogni stagione, anche con la barba.

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E tu come porti il foulard?

Esistono decine modi diversi di indossarlo, e se si aggiungono accessori, come anelli porta foulard e mollette, le possibilità di moltiplicano. Raccontami il tuo stile nel commenti!

Esperimenti con il nero BLK 3.0

Esperimenti con il nero BLK 3.0

Il Nero assoluto è una chimera per gli artisti. Quando si dipinge una superficie di nero, il massimo cui si possa aspirare è un grigio molto scuro o un nero riflettente. Per questo, il dibattito sui diritti del Vantablack attira l’attenzione di molti. 

Nero assoluto, BLK 3.0 - Esperimenti di nero assoluto by ARTISTANTE

Cos’è il Vantablack

Trovate in questo articolo la storia del Vantablack, qui mi limito a spiegare che si tratta di una vernice nera ricavata grazie ad una microstruttura di nanotubi di carbonio, in grado di assorbire la luce quasi al 100%.  Anish Kapoor, architetto e artista britannico, ne ha acquisito i diritti per l’uso esclusivo in campo artistico.

L’alternativa al Nero Assoluto: il BLK3.0

Questa rivelazione mi dava da pensare. Mi chiedevo: è mai possibile che Anish Kapoor abbia fatto una mossa così maleducata, come quella di accaparrarsi in esclusiva l’uso del primo materiale capace di assorbire il 99% della luce visibile? Sì, lo ha fatto e, fra le altre cose, ci ha dipinto delle buche.

Quindi la seconda domanda era: è mai possibile che nessuno, nella comunità internazionale di artisti, se la sia presa a male? E no, in effetti non era possibile: noi artisti siamo piuttosto permalosi e intimamente anarchici.

Mia sorella, curiosa quanto me,  @gabi_vagnoli ha svolto una rapida ricerca, trovando alcune alternative interessanti, tra cui il BLK3.0, un progetto finanziato su Kickstarter in sole 38 ore che si è riproposto di produrre una vernice acrilica nera, che più nera non si può, per immetterla nel mercato.

Nero assoluto, BLK 3.0 - Esperimenti di nero assoluto by ARTISTANTE
Nero assoluto, BLK 3.0 - Esperimenti di nero assoluto by ARTISTANTE

Le condizioni sono abbordabili: si acquista in uno store in UK e la spedizione è assicurata in tutto il mondo, disponibile per tutti e subito. Anzi, non proprio per tutti: per il mondo intero, tranne che per Kapoor. Lo hanno scritto nelle specifiche del prodotto.

Potevo resistere? No, ho accettato la sfida!

Per la relativamente contenuta cifra di 60 pounds, spedizione DHL inclusa, ho acquistato due flaconi.

Questo è un gioco cui non potevo non partecipare, intanto perché sono davvero curiosa verso un colore così particolare, e poi perché ritenevo interessante prendere parte all’iniziativa all’iniziativa, finanziando un’idea che vuole ribadire, di nuovo, che l’arte è alla portata di tutti.

ESPERIMENTO E RECENSIONE #1

Eden 20

Ho eseguito il primo test su una tela 30×20 cm. Ho dipinto anche i lati, soprattutto perché ero curiosa di capire se l’opacità era tale da annullare l’effetto della profondità volumetrica, data dalla diversa rifrazione della luce. Ecco come è andata.

Il BLK3.0 si presenta così: piuttosto liquido, direi invitante.

Nero assoluto, BLK 3.0 - Esperimenti di nero assoluto by ARTISTANTE

Ho deciso di usare il colore direttamente sulla tela, senza prepararla in nessun modo.

Alla prima stesura mi è sembrato fin troppo leggero, sicuramente più liquido di quanto mi aspettassi, il che è un bene, visto che è bene non diluirlo in nessun modo. In seguito l’ho agitato meglio: non ero abituata a farlo con gli acrilici, che di solito non contengono acqua, ma in questo caso avrei dovuto pensarci prima. Alla seconda stesura, infatti, mi è parso più corposo.

Nero assoluto, BLK 3.0 - Esperimenti di nero assoluto by ARTISTANTE

Ho dato il colore in tre strati, lasciando ogni volta asciugare. Non ci mette molto, ma ho aspettato più del necessario tra uno strato e l’altro, per essere sicura di non portare via la base con il pennello umido della seconda mandata. Qui  in foto è ancora bagnato, subito dopo la prima stesura.

Nero assoluto, BLK 3.0 - Esperimenti di nero assoluto by ARTISTANTE

Eccolo asciutto, dopo la terza stesura. Appare uniforme, intenso, vero effetto matte senza riflessi, ma no, non è assoluto: si distingue molto bene la profondità della tela, dipinta anche sui bordi, il che significa che riflette la luce, anche se in minima parte.

Nero assoluto, BLK 3.0 - Esperimenti di nero assoluto by ARTISTANTE

La buona notizia è che, una volta asciutto, è una base eccellente per gli acrilici tradizionali. Ecco il piccolo esperimento, che ho intitolato “Eden 20”.

Nero assoluto, BLK 3.0 - Esperimenti di nero assoluto by ARTISTANTE

In particolare, mi piace la resa del dorato che, si sa, rende molto meglio su basi scure. In più, in questo caso, il contrasto tra l’opacità del nero e il colore metallizzato è decisamente d’effetto.

Nero assoluto, BLK 3.0 - Esperimenti di nero assoluto by ARTISTANTE

Conclusione

BLK3.0 appare opaco e profondo, nessun acrilico nero che abbia provato ha questa vellutata opacità, ma credo che esistano vernici più economiche che ci si avvicinano. Godibile e divertente, ma non una rivoluzione copernicana.
Per il prossimo tentativo, proverò ad applicarlo su diverse basi.

Nero assoluto, BLK 3.0 - Esperimenti di nero assoluto by ARTISTANTE

ESPERIMENTO E RECENSIONE #2

Una tela per la terra: BRACE

Dopo qualche studio, mi sentivo pronta per affrontare una tela più ampia. Ho scelto una 60×60 con uno spessore di 6 cm, per mettere in risalto l’effetto del nero. Il titolo vuole richiamare l’effetto devastate degli incendi che ogni anno privano la terra di consistenti fette di forseta e, di conseguenza, di ossigeno e biodiversità.

Acrilico su tela 60x60x6 cm BRACE - Paola Vagnoli
Acrilico su tela 60x60x6 cm BRACE - Paola Vagnoli

ESPERIMENTO E RECENSIONE #3

Come un gioco: PORTOLANO

Ho provato ad utilizzate il nero BLK3.0 su una tavola di legno, 30×24, anche questa con spessore di 6 cm. Il soggetto è una via di mezzo tra il tabellone di un gioco dell’oca e una mappa, sulla quale spicca una città affacciata sul mare.

Portolano, acrilico e blk3.0 su tavola, 30x24x6cm, Paola Vagnoli
Portolano, acrilico e blk3.0 su tavola, 30x24x6cm, Paola Vagnoli

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