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La biro: l’invenzione che ha cambiato il modo di scrivere e disegnare

La biro: l’invenzione che ha cambiato il modo di scrivere e disegnare

La penna a sfera sta per compiere un secolo e da almeno settant’anni è popolare in tutto il mondo. Questa invenzione, che ha soppiantato nell’uso comune la vecchia e macchinosa stilografica, non smette mai di mostrarci le sue infinite possibilità. Piace agli scrittori e ai pittori di ieri e piace, soprattutto, ai giovani artisti di oggi. Addentriamoci nella storia della “biro” e nei suoi usi artistici più interessanti.

La lenta nascita della penna a sfera: tutto ebbe inizio con Leonardo

Chi ha inventato quella che tutti, oggi, chiamiamo “biro”? Questo termine è entrato in uso in italiano grazie allo scrittore Italo Calvino, il quale soleva chiamare in questo modo la penna a sfera, riferendosi al nome del suo inventore: László Bíró. Ma la storia di questa invenzione, come di molte altre, non è tanto semplice e lineare come sembra.

Il primo a concepire l’idea di una penna a sfera fu un personaggio a noi molto noto: Leonardo da Vinci, grande scienziato, artista e…scribacchino! Ma ci vollero diversi secoli perché la sua intuizione di un “ingegno scrittoio” a sfera venisse veramente realizzato.

Dopo Leonardo, a inventare la penna a sfera ci provò un americano vissuto alla fine dell’800, tale John J. Loud. Egli ideò la penna e il meccanismo a sfera inchiostrata, ma il suo prototipo aveva un grave difetto: non scriveva sulla carta, andava bene solo per il legno o altre superfici dure. Era quindi del tutto inutile. Così Loud lasciò perdere e si disinteressò per sempre alla produzione di penne. Ma negli anni ’30 un giornalista ungherese naturalizzato argentino di nome László Bíró scoprì il progetto di Loud e provò a migliorarlo.

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László Bíró, il papà della biro

Da giornalista, Bíró utilizzava la penna quotidianamente e conosceva tutti i difetti delle tradizionali stilografiche, tanto belle quanto scomode: queste penne lasciavano le mani sempre macchiate di inchiostro e, per di più, erano tutto fuorché economiche. Ebbene, Bíró decise di “inventare” finalmente la penna a sfera trovando il modo di farla funzionare, e ci riuscì grazie all’aiuto del fratello chimico. Questi inventò una formulazione di inchiostro, simile a quello tipografico, che si dimostrò più adatto alla nuova penna. Ecco cos’era mancato a Leonardo da Vinci e a John J. Loud: i loro progetti erano validi, solo la composizione dell’inchiostro era sbagliata!

E così László Bíró (1899-1985), finalmente, divenne ufficialmente il padre della “biro”.

L’invenzione fu brevettata in Inghilterra e Ungheria, ma, allo scoppio della guerra, Biró, di origini ebraiche, fu costretto a fuggire e a rifugiarsi in Argentina, dove la penna a sfera fu perfezionata, prodotta e messa in vendita per la prima volta nel 1945.

La penna originale era in metallo, si comprava ad un costo abbastanza contenuto e poi andava semplicemente ricaricata, finito l’inchiostro, con le apposite cartucce.

Penna a sfera e arte: il brevetto di Biro

Marcel Bich e la rivoluzione di plastica

Ma chi trovò il modo di decretare il successo della nuova invenzione fu l’imprenditore francese Marcel Bich, il quale acquistò il brevetto da Bíró e fondò la società, ancor oggi molto famosa, detta Bic. La sua idea era semplice: usare la plastica per fabbricare penne così economiche da poterle gettare via quando esaurite, senza doverle mai più ricaricare. Oggi sappiamo che l’usa e getta è meno conveniente di quanto sembri, ma all’epoca fu una rivoluzione.

Oggi, biro e bic sono nella nostra lingua dei perfetti sinonimi di “penna a sfera”. Tanto è stato il successo dei primi avventurieri della “nuova scrittura”! Un successo che, precisiamo, non sembra destinato a tramontare neppure nell’era degli smartphone e dei computer. Rispetto al passato scriviamo sempre meno, eppure in casa o in ufficio non può mai mancarci un set di biro per appuntare numeri di telefono, spese da fare o fugaci pensieri poetici.

Storia della penna a sfera, la BIC

Un nuovo modo di disegnare e progettare

Immediata e sempre pronta, la penna a sfera inaugura un nuovo rapporto tra idea e realizzazione creativa. Fra i primi a intuirlo fu Giacometti.

Giacometti, storia della penna a sfera nell'arte

Alberto Giacometti (1901-1966)

Il famoso pittore, scultore e incisore svizzero affermò una volta: “di qualsiasi cosa si tratti, di scultura o di pittura, è solo il disegno che conta”. Questa sua fede nel disegno, non certo scontata, lo portò a realizzare moltissimi schizzi e opere su carta (ritratti, manifesti…), a volte utilizzando come “pennello” proprio la penna biro. In lui è particolarmente evidente l’importanza dell’immediatezza, quel rapporto istantaneo tra idea ed espressione che solo la biro può garantire. È l’inizio di un nuovo metodo di pensare e progettare l’opera.

La biro al posto del pennello: l’arte si fa con tutto

Alcuni potrebbero pensare che il mezzo in sé sia limitante, utile solo per bozze e schizzi, per prendere appunti preliminari e non per l’Arte con la A maiuscola, ma ecco una breve e assolutamente non esaustiva lista di cose da vedere per ricredersi.

arte con la bic blu: Mostafa Mosad Khodeir

Mostafa Khodeir

Questo artista egiziano poco più che trentenne è diventato famoso in tutto il mondo grazie al web, dove ha condiviso incredibili opere d’arte iperrealiste realizzate soltanto con l’uso di una semplice biro blu. Khodeir è un vero e proprio virtuoso della Bic e la sua attenzione al dettaglio stupisce particolarmente chi osserva i suoi disegni.
Questo è il suo canale YouTube.

Arte con la penna a sfera enam bosokah

Enam Bosokah

Ecco un altro giovane artista iperrealista che ha fatto della Bic il suo strumento principe. Di nazionalità ghanese, Bosokah raffigura nelle sue opere i volti e i costumi della propria terra, in ritratti che con le loro “ombre” e i loro sguardi penetranti suscitano forti emozioni negli spettatori.
Questo è il suo account Behance

marcello carrà opera disegnata con la penna a sfera

Marcello Carrà

“Datemi una Bic e vi solleverò il mondo”, ha detto di recente l’artista ai giornali. Ed è proprio così, nella misura in cui egli riesce con questo piccolo e semplice strumento a creare disegni complessi, anche di enorme formato. Carrà lavora su due filoni: la rivisitazione in termini attuali di grandi opere del passato e la rilettura concettuale di alcuni tra i disegni più antichi e affascinanti della storia: quelli dei “bestiar”  medievali. I risultati, in termini di “matericità” del disegno e di surrealismo immaginifico, sono davvero incredibili: la biro, con Carrà, smette di essere un limite e diventa una potenzialità. Personalmente, in un panorama popolato da moltissime proposte iperrealiste, trovo nella sua arte uno sbocco verso un mondo davvero senza confini, perché libero dal dovere di cronaca che la rappresentazione della realtà impone.
Visitate il suo sito qui.

Storia dell'arte: l'uso della penna a sfera - Deborah Delasio

Deborah Yael Delasio

Siamo abituati a concepire la biro nera o blu e quindi ad usarla in senso monocromatico, ma Deborah ci insegna che le BIC non hanno neppure questo limite e che sono uno strumento inaspettatamente versatile, anche per chi si esprime a colori.
“Vago nel mio personale labirinto e lascio tracce di me. Disegno con le penne, immagino mondi e provo a farli vivere sul foglio. Nel mio piccolo universo di creature fantastiche c’è il mio sogno di un’infanzia da custodire.”
Ecco il suo account IG.

La biro: minimalista ed economica 

Alcuni tra i più giovani e promettenti artisti che utilizzano la penna biro come strumento d’elezione sono originari di paesi, come l’Egitto e il Ghana dei nostri esempi, che siamo soliti denominare “terzo mondo”. Non è mio intento generalizzare, ma credo che questi giovani siano l’esempio di come si possa fare arte ad alti livelli pur con pochi o pochissimi mezzi a disposizione. 

È l’artista a fare l’arte, insomma, e non i mezzi che ha a disposizione. Anche un semplice foglio di carta e una biro, in mano a chi  è portatore di un pensiero originale, possono diventare arte: dal semplice scrabocchio, che è il germe di ogni progetto, fino all’opera finita, la bic è la protagonista della creatività del nostro tempo.

Oggi la “pittura con la biro” è diventata estremamente popolare sul web, dove giovani artisti condividono e rendono virali le loro creazioni, che possono essere di grande formato oppure minuscole come francobolli.

I tradizionalisti potrebbero avere qualcosa da ridire su uno strumento così “povero” come la biro, ma trovo che il diffondersi dell’arte a penna ci insegni, come diceva l’illustre Giacometti, che ciò che conta è il disegno, nient’altro.

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Il tessile e la chimica: a che punto siamo?

Il tessile e la chimica: a che punto siamo?

L’industria tessile in Italia e l’evoluzione ideologica

L’industria tessile e dell’abbigliamento rappresenta uno dei settori più importanti dell’industria manifatturiera italiana, primato che le spetta da secoli e che caratterizza il Made in Italy, in questo settore, come uno dei più prestigiosi al mondo, forte di una tradizione apprezzata sia in occidente che in oriente.

La filiera tessile è fortemente radicata nel nostro territorio: penso principalmente ai distretti industriali di Prato, Biella, Como, ma ce ne sono molti altri che vantano una lunga tradizione che, negli ultimi decenni, ha dovuto fare i conti con l’innovazione tecnologica, ma anche ideologica.

Parlo di innovazione ideologica riferendomi ai movimenti che hanno portato ad una crescente attenzione per la sostenibilità della produzione tessile e per la tutela tanto dell’ambiente, quanto della salute del consumatore.

Negli ultimi 20 anni il tema della sostenibilità è letteralmente esploso, e non poteva non coinvolgere un argomento a me molto caro: i colori. Se leggete il ColorBlog, vi sarete già imbattuti in considerazioni che riguardano la tossicità dei pigmenti e dei colori industriali e di come la ricerca si stia muovendo per ottenere colori atossici.

La ricerca, però, è ancora lontana dal proporre coloranti industriali privi di rischi. Per questo motivo, enti internazionali e la stessa CE si stanno dotando di regolamenti appositi, con lo scopo di valutare il rischio delle diverse sostanze chimiche utilizzante nei processi industriali, abolire l’utilizzo di quelli più pericolosi, e promuovere l’utilizzo di processi produttivi sempre più ecologici e sicuri.

Certificazione REACH e le campagne per la moda sostenibile
certificazione REACH

Il regolamento REACH: cosa è e perché è importante

Il Regolamento (CE) n.1907/2006, cosiddetto REACH, è una normativa in vigore dal 2007 che stabilisce quali sostanze e quali composti chimici possano essere utilizzati nei processi industriali in Europa e con quali modalità. 

REACH sta per Registration, Evaluation, Authorisation and restriction of Chemicals, e non è una semplice certificazione, ma non regolamento comporto da 141 articoli, molti dei quali interessano da vicino il comportato tessile. Il regolamento viene continuamente aggiornato e ha diversi scopi:

  • Informare circa il rischio derivato dall’utilizzo di determinati prodotti chimici, sia rispetto alla salute che rispetto all’ambiente, e prevenire tale rischio.
  • Promuovere le sviluppo di metodi alternativi di produzione, ma anche di test: scoraggia, infati, i test condotti digli animali.
  • Mantenere alta la competitività dei prodotti europei, puntando sulla qualità, la sicurezza e la sostenibilità.

Si tratta, quindi, di un passo molto importante verso una rivoluzione ecologica, anche se ancora non è ancora sufficiente.

Detox my fashion: il movimento che vuole rivoluzionare il tessile

Nel 2011 GreenPeace ha dato vita ad un movimento che va al di là dei confini europei: con Detox My Fashion si punta ad una moda più sostenibile e si cerca di stravolgere i criteri produttivi, intervenendo soprattutto sulle filiere della fast fashion e delle grandi maison di moda. E, a differenza del regolamento europeo, Detox my fashion si rivolge al mercato globale e vuole coinvolgere anche paesi come la Cina e l’India.

detox my fashion

Oltre ai regolamenti: per la rivoluzione ecologica, occorre investire nella ricerca.

Stiamo quindi assistendo ad un ripensamento di tutti i processi produttivi, secondo linee guida virtuose. Ma quando si parla di rivoluzione sostenibile dell’industria, non è possibile escludere dal contesto la ricerca scientifica e tecnologica. Ingenuamente, si tende ad attribuire una corrispondenza tra alta tecnologia e inquinamento e, per contro, ad assimilare il “naturale” a qualcosa di sicuro ed atossico per noi e per l’ambiente. Niente di più sbagliato: come molti di voi già sanno, la maggior parte dei pigmenti in uso fin dall’antichità sono velenosi e fortemente tossici, sebbene naturali e non frutto di processi chimici.

Finché non si investirà fortemente nella ricerca, non si può fare molto altro che evitare sostanze chimiche pericolose usandone altre meno pericolose, che è già un ottimo passo avanti, ma non è la soluzione. Oppure, possiamo aspettare che nuovi pigmenti, finalmente atossici vengano fuori per caso, come è successo per il Blu YInMg. Ma ci conviene?

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YInMn Blue, la scoperta casuale di un nuovo pigmento blu

YInMn Blue, la scoperta casuale di un nuovo pigmento blu

Delicato nelle sue tonalità azzurrine, profondo e misterioso come la notte, meraviglioso nelle sue gradazioni indaco: il colore blu è da sempre una tonalità che affascina e allo stesso tempo intimorisce.

La storia è piena di questi esempi. Basti pensare come questo colore cambi importanza a seconda dell’epoca e della zona geografica. Amato dagli Egizi, barbaro per i Romani, sacro nelle cattedrali gotiche, questo colore dalle mille sfumature ha una storia tormentata, ma che non smette di incuriosire appassionati e artisti di tutto il mondo.

Storia del colore: YinMn Blue, il nuovo pigmento scoperto per caso

Come si otteneva il blu, dagli egizi ai pigmenti dell’era industriale

L’utilizzo del blu come pigmento ha origini molto antiche, ma travagliate: il pigmento blu, infatti, è presente in natura, ma difficilmente estraibile, tanto che, fin da subito, si è ricorsi alla chimica, grazie alla ricetta misteriosa degli antichi egizi. Gli antichi Egizi associavano il blu al divino e alla vita ultraterrena. Lo apprezzavano al punto che, per risparmiare sul costo oneroso dei lapislazzuli, dai quali si otteneva il blu oltremare, avevano inventato una loro miscela la cui ricetta rimane in parte un mistero, dando vita al primo pigmento chimico della storia.

➝ Leggi di più sul blu nell’antichità, a partire dal blu egizio

L’esigenza di ricorrere a metodi più accessibili per ottenere un blu stabile come quello dei lapislazzuli ha costituito un problema che nell’antichità e nel medioevo veniva spesso gestito ricorrendo alla meno preziosa e meno brillante azzurrite, ampiamente utilizzata in pittura. Per alcuni utilizzi, ad esempio nella pasta di vetro, veniva impiegato il blu cobalto estratto dai minerali. Ne sono un esempio le meravigliose vetrate gotiche di Chartres, che nel 1200 sanciscono il ritorno del blu tra i colori associati al divino, dopo un lungo periodo di egemonia del rosso, che durava dall’epoca romana.

 ➝ Scopri di più sulle vetrate gotiche e sul blu nel medioevo

L’intensità del blu oltremare rimase in parte un miraggio, fino all’età moderna, quando la chimica ha permesso di ideare formule meno costose, ossia il blu di Prussia e il  blu Cobalto prodotto per sintesi. Entrambe le formulazioni comportano la manipolazione di materiali tossici e pericolosi, un fatto che però ha raramente scoraggiato artisti e pittori.

Il significato del blu in tutte le sue sfumature

Nonostante il suo utilizzo sia stato sostanzialmente continuativo, come tutti i colori, anche il blu ha conosciuto fortune alterne. Non solo i materiali e le tecniche per ottenerlo sono cambiati: anche il suo significato ha subito una sostanziale evoluzione.

Tutt’oggi, il blu rappresenta la leggerezza del cielo al mattino, oppure il buio su cui brillano le stelle e l’abisso delle profondità del mare. Per Picasso, il periodo Blu coincide con il dolore della perdita e nelle sue tonalità più avvolgenti esprimeva il lutto. Il Blu è, insomma, un colore dalle mille sfumature simboliche.

Il blu è un colore ancora molto apprezzato, anzi, secondo alcune statistiche è addirittura il colore più amato in occidente, ed è presente nella vita di tutti i giorni. Viene utilizzato spesso nel marketing perché è associato a tranquillità, affidabilità e calma.

Le sue gradazioni sono largamente impiegate negli edifici pubblici come scuole e ospedali, e negli ultimi decenni (e solo negli ultimi decenni) viene associato anche alla mascolinità.

➝ Leggi l’approfondimento sul blu: il colore che fa vendere 

Come si scopre un nuovo colore?

Chi è appassionato di arte e colore sa che si possono “scoprire” nuove tonalità, spesso per caso.

La scoperta di nuovi pigmenti è un evento raro, soprattutto nel caso del blu: la recente creazione del blu YInMn è stata considerata da subito cun fatto straordinario, perché si tratta del primo nuovo pigmento blu dopo ben 200 anni. L’ultimo, era stato il Cobalto sintetico nel 1802.

Come vedremo, a differenza del Vantablack, il colore nero brevettato nel 2014, che è il risultato di una ricerca mirata, la messa a punto del YInMn Blue è un caso del tutto accidentale.

➝ Il nero assoluto: non solo Vantablack
➝ Colori tecnologici creati in laboratorio: scopri come cambieranno il mondo

la scoperta del blu YInMn, il primo pigmento blu dopo 200 anni

Come è stato scoperto e di che colore è il blu YinMn

Nel 2009 accadde un evento imprevisto: degli scienziati della Oregon State University (OSU) inventarono per caso un nuovo blu. Fu il laboratorio chimico del professor Mas Subramanian a fare questa felice scoperta e a intuire fin da subito il potenziale commerciale del nuovo pigmento.

La nuova tonalità di blu si chiama YInMn (pare si pronunci Yin Min), perché prende il nome dal composto di materiali che la forma, ovvero il molto costoso raro territo ittrio (Y), l’estremamente raro semi-metallo indio (In) e manganese (Mn). Scaldando questo composto alla temperatura di 1100 C°, gli studenti del laboratorio dell’OSU hanno assistito alla comparsa inaspettata di una splendida tonalità di blu. 

Il Blu YInMn non contiene parti di pigmento nero o bianco, che vengono utilizzate per rendere più intense e brillanti alcune tonalità, risultando quindi straordinariamente puro. La sua struttura cristallina ha la capacità di assorbire le onde dei colori rosso e verde; di conseguenza, riflette solamente la tonalità di blu, caratterizzandosi per un intenso blu scuro, fra il blu oltremare e il cobalto, con un sottotono rosso. L’azienda Derivan lo definisce “simile all’Ives Klein Blue”, che è appunto un derivato del Blu Cobalto.

Perché il colore blu YInMn è così rivoluzionario

La scoperta di Mas Subramanian è stata fortuita e lo ha portato alla ribalta delle news di settore, rendendo questo nuovo colore un prodotto già molto ricercato.

Si tratta davvero di un blu straordinario, ancora di più se si considera che, al contrario dei suoi predecessori, questo pigmento non è tossico. Un colore efficace e sicuro, quindi, che ha già conquistato aziende e appassionati d’arte. 

Il pigmento ha un basso fabbisogno di olio ed è adatto per tempere e colori ad acqua, come i colori acrilici, sia artistici che industriali. 

Questo particolare blu riflette le onde infrarosse in modo efficiente (circa il 40%), molto di più rispetto agli altri tipi di blu. Per questo motivo il blu YInMn è particolarmente durevole nel tempo e agisce come agente protettivo nei confronti del calore e della luce solare.

Essendo anche molto resistente e stabile, lo si potrebbe, per esempio, utilizzare per la copertura del tetto, in modo da creare un ottimo isolamento termico per un’abitazione. Può anche essere usato sulla plastica e come colore per pittura.

la scoperta del blu YInMn, il primo pigmento blu dopo 200 anni

Dove acquistare il blu YInMn?

Nel 2017 la celebre azienda di pastelli Crayola lo incluse nella sua gamma di colori e decise di indire un concorso per assegnare il nome commerciale della nuova tonalità di blu. Vinse Bluetiful, votato il migliore tra cinque finalisti: gli altri erano Blue Moon Bliss, Dreams Come Blue, Reach For the Stars, Star Spangled Blue. 

Personalmente sono più interessata al colore acrilico e quindi ho dato il via alla ricerca. L’ho trovato negli USA e in Australia, su diversi siti che rivendono i prodotti della  Derivan, la prima azienda a ricevere il permesso di utilizzare il nuovo pigmento e metterlo in vendita anche per gli artisti. Non mi sono preoccupata di verificare la possibilità di ricevere una spedizione, e ho constatato solo il costo del tubetto da 40 ml che si aggira intorno agli 80 dollari. Ho anche trovato il colore ad olio, tubetto da 37 ml, al costo di 75 dollari. Vista la rarità dei materiali e il fatto che il pigmento viene oggi prodotto in piccole quantità, mi aspettavo un prezzo consono e non sono affatto stupita. Credo, però, che aspetterò un’occasione più propizia, rinunciando per ora all’acquisto.

AGGIORNAMENTO!

Sono riuscita ad acquistare un tubetto! Si tratta dell’edizione limitata della Schmincke. Se vuoi sapere cosa ne ho fatto e come è andata, lo racconto qui.

colore acrilico blu YInMn

Il blu di lapislazzuli è ancora il più costoso

Mentre indagavo sul nuovo pigmento, mi è venuta la curiosità di capire, in rapporto ad altri pigmenti blu, quale fosse il costo del Blu YInMn e, con l’aiuto di uno shop di pigmenti, ho potuto togliermi ogni dubbio: il Blu Oltremare dei Lapislazzuli è tuttora il più prezioso in circolazione.

Blu puro di lapislazzuli
20.813,10 € / 1 kg

blu oltremare, pigmento di lapislazzuli puri

YInMn Blue
4.165,00 € / 1 kg

Blu YInMn, pigmento, il nuovo blu creato dopo 200 anni, quanto costa

Blu di Azzurrite
3.076,15 € / 1 kg

Pigmento blu, azzurrite

Curiosità

Su reddit, qualcuno ha postato una ricetta per creare il proprio YinMn Blue: non ci proverei, ma sono affascinata dal rigore scientifico del post e dalle intenzioni artistiche. Se voleste provarci voi, fatemi sapere 🙂 Ecco la ricetta.

 

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Tecnologia del colore: dall’evoluzione delle specie a quella in laboratorio.

Tecnologia del colore: dall’evoluzione delle specie a quella in laboratorio.

Per #artistantecolore, oggi parlo di evoluzione naturale e di progresso scientifico: ecco come impareremo dalla natura a produrre colori strutturali organici, per utilizzare sempre meno i pigmenti e adottare tecnologie sempre più sostenibili per il pianeta.

 

Tecnologia del colore: come realizzeremo colori organici imitando la natura

Ingegneria naturale: pigmento e colore strutturale

In natura, esistono due tipi di colorazione: colore strutturale e pigmento

  • Il colore strutturale è dato da come la luce si comporta sulle microstrutture presenti sulla superficie su cui si rifrange, ad esempio il carapace dei coleotteri. In pratica, un questione di geometrie, basata su unità modulari dette strutture fotoniche
  • I pigmenti, invece, sono dei composti chimici, che si trovano ad esempio nei capelli, nella pelle, nelle piume. 

Il colore di molti animali, come uccelli o insetti, è dato dalla combinazione di struttura e pigmento. Il pigmento blu, ad esempio, è molto raro in natura. Di solito, si tratta di un colore strutturale che può mischiarsi o meno con un pigmento, per esempio il giallo, generando diverse sfumature di verde e turchese.

tecnologia del colore: il colore è strettamente legato all'evoluzione naturale - Occhi a confronto
Dalla collezione del Natural History Museum, occhio di Balena, di di cavallo e di orso himalayano.

In Natura, colore e visione sono strettamente legati all’evoluzione

Il modo in cui si sono evoluti gli occhi delle diverse specie è stato influenzato in due modi: dall’ambiente e dai messaggi che è opportuno cogliere per salvarsi la vita. Ad esempio, l’occhio della balena, che vede anche in profondità, ha un’apertura enorme per lasciar passare quanta più luce possibile, ma non è detto che le sia utile percepire tutte le sfumature del verde, che sono importanti, ad esempio, se si vive in una foresta. 

Ma non esistono solo i vertebrati: insetti e crostacei hanno occhi con strutture incredibilmente sofisticate e diverse, alcuni basati, ad esempio, su lenti minerali, invece che organiche. Dietro ogni occhio, però, c’è un cervello che elabora l’informazione e che si è evoluto a questo scopo.

Cosa possiamo imparare dalla natura?

Come i colori strutturali possono cambiare il mondo

L’uomo ha da sempre utilizzato i pigmenti per dipingere, per colorare gli oggetti, per segnalare e identificare – si pensi alle bandiere, agli stemmi, ai semafori, o alle luci colorate negli aeroporti. 

Solo di recente, gli scienziati si sono rivolti alla natura per sfruttare il colore strutturale. Uno degli esempi è il Vantablack, costituito da una microstruttura di nanotubi di carbonio che imprigiona tutta la luce, restituendo un nero assoluto. 

Ma esistono altre possibilità? E perché si sta indagando in questo senso?

La costruzione dei colori attraverso strutture fotoniche che imitano, ad esempio, il carapace dei coleotteri, è un’alternativa al pigmento che ci interessa per due motivi fondamentali: 

  • Il colore strutturale è più duraturo (tanto è vero che sopravvive alla morte dell’animale).
  • Grazie alla ricerca, il colore strutturale potrebbe essere più sostenibile, rispetto alla produzione dei pigmenti convenzionali. 

Il filone di ricerca è vasto, nuovo e interessante: si parla di ingegneria biomimetica, un’area interdisciplinare, tra fisica ottica, chimica, biologia e ingegneria, condotto alla ribalta da una ricercatrice Italiana, la professoressa Silvia Vignolini dell’Università di Cambridge.

strutture fotoniche su ali di farfalla

Colori strutturali iridescenti e opachi

Quando pensiamo ai colori strutturali negli animali, ci vengono sempre in mente colori iridescenti, come quelli che ammiriamo nelle piume del pavone o sulla livrea si molti insetti. L’effetto è dato dalla diversa resa della luce, che si riflette sulla microstruttura in modo diverso a seconda dell’angolazione. L’uomo ha già utilizzato soluzioni simili, ad esempio per le filigrane iridescenti delle banconote.

Ma può un colore strutturale essere completamente piatto, ossia risultare identico, a prescindere dall’angolo di incidenza? 

Potrebbe sembrare una domanda curiosa, ma in verità è fondamentale per concepire un uso industriale. Pensiamo ad un’azienda che si occupi di moda o design: la sua prima preoccupazione è che il colore sia identificabile e che risulti identico ovunque lo si applichi. Il verde Tiffany, ad esempio, è verde Tiffany in tutto il mondo, su carta, plastica, metallo, stoffa. 

In natura, i colori strutturali non iridescenti esistono e sono più numerosi di quello che pensiamo. Molti fiori li usano per dirigere gli insetti impollinatori con messaggi chiari, e non con effetti speciali, che confonderebbero loro le idee. In sostanza, si tratta solo di comprendere come queste geometrie possano essere manipolate per restituirci l’effetto che desideriamo.

La sfida, sta nel farlo in modo artificiale, ma non sintetico.

Che differenza c’è tra artificiale e sintetico?

Progettando un colore strutturale, ci si aprono due strade: 

  • utilizzare la plastica per disegnare le strutture, 
  • oppure approfondire ancora di più la nostra ricerca e arrivare allo stesso risultato manipolando materia organica. 

Entrambe le soluzioni sono artificiali, ossia progettate e realizzate in laboratorio, ma solo la prima è sintetica, mentre la seconda è organica

Questa è la missione di Vignolini che, come prima questione, si pone quella della sostenibilità per ogni nuovo materiale che progetta. Significa che la struttura deve essere sostenibile rispetto alla fonte di materia prima, quando nasce, ed esserlo quando muore, degradando nell’ambiente con il minor impatto possibile. La svolta sarebbe riuscire a farlo utilizzando solo materiali naturali come la cellulosa e la chitina, i due biopolimeri più abbondanti sulla Terra.

➝ Differenza tra artificiale e sintetico nei tessuti: leggi l’approfondimento sui nuovi tessuti ecosostenibili.

Colori strutturali organici in laboratorio: come sono fatti?

Nei suoi studi, Vignolini ha esplorato l’uso di composti di vario genere, pesino addensati alimentari. Ultimamente, si è concentrata sui batteri come fabbriche di blocchi nanofotonici, facendoli lavorare su una base di cellulosa

La grande quantità di cellulosa che serve ai suoi esperimenti pone il problema della disponibilità della materia prima: sarebbe inutile concepire un materiale biodegradabile che, per essere prodotto in modo massivo, portasse alla deforestazione. Per questo, Vignolini si concentra sull’economia circolare: attualmente, la cellulosa che utilizza nei suoi esperimenti è un prodotto di scarto dell’industria del cotone, un processo che può essere scalato anche per una produzione massiva di tipo industriale.

Attendo con molta ansia l’esito dei suoi esperimenti e dell’evoluzione organica dei colori. Voi no?

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Esperimenti con il nero BLK 3.0

Esperimenti con il nero BLK 3.0

Il Nero assoluto è una chimera per gli artisti. Quando si dipinge una superficie di nero, il massimo cui si possa aspirare è un grigio molto scuro o un nero riflettente. Per questo, il dibattito sui diritti del Vantablack attira l’attenzione di molti. 

Nero assoluto, BLK 3.0 - Esperimenti di nero assoluto by ARTISTANTE

Cos’è il Vantablack

Trovate in questo articolo la storia del Vantablack, qui mi limito a spiegare che si tratta di una vernice nera ricavata grazie ad una microstruttura di nanotubi di carbonio, in grado di assorbire la luce quasi al 100%.  Anish Kapoor, architetto e artista britannico, ne ha acquisito i diritti per l’uso esclusivo in campo artistico.

L’alternativa al Nero Assoluto: il BLK3.0

Questa rivelazione mi dava da pensare. Mi chiedevo: è mai possibile che Anish Kapoor abbia fatto una mossa così maleducata, come quella di accaparrarsi in esclusiva l’uso del primo materiale capace di assorbire il 99% della luce visibile? Sì, lo ha fatto e, fra le altre cose, ci ha dipinto delle buche.

Quindi la seconda domanda era: è mai possibile che nessuno, nella comunità internazionale di artisti, se la sia presa a male? E no, in effetti non era possibile: noi artisti siamo piuttosto permalosi e intimamente anarchici.

Mia sorella, curiosa quanto me,  @gabi_vagnoli ha svolto una rapida ricerca, trovando alcune alternative interessanti, tra cui il BLK3.0, un progetto finanziato su Kickstarter in sole 38 ore che si è riproposto di produrre una vernice acrilica nera, che più nera non si può, per immetterla nel mercato.

Nero assoluto, BLK 3.0 - Esperimenti di nero assoluto by ARTISTANTE
Nero assoluto, BLK 3.0 - Esperimenti di nero assoluto by ARTISTANTE

Le condizioni sono abbordabili: si acquista in uno store in UK e la spedizione è assicurata in tutto il mondo, disponibile per tutti e subito. Anzi, non proprio per tutti: per il mondo intero, tranne che per Kapoor. Lo hanno scritto nelle specifiche del prodotto.

Potevo resistere? No, ho accettato la sfida!

Per la relativamente contenuta cifra di 60 pounds, spedizione DHL inclusa, ho acquistato due flaconi.

Questo è un gioco cui non potevo non partecipare, intanto perché sono davvero curiosa verso un colore così particolare, e poi perché ritenevo interessante prendere parte all’iniziativa all’iniziativa, finanziando un’idea che vuole ribadire, di nuovo, che l’arte è alla portata di tutti.

ESPERIMENTO E RECENSIONE #1

Eden 20

Ho eseguito il primo test su una tela 30×20 cm. Ho dipinto anche i lati, soprattutto perché ero curiosa di capire se l’opacità era tale da annullare l’effetto della profondità volumetrica, data dalla diversa rifrazione della luce. Ecco come è andata.

Il BLK3.0 si presenta così: piuttosto liquido, direi invitante.

Nero assoluto, BLK 3.0 - Esperimenti di nero assoluto by ARTISTANTE

Ho deciso di usare il colore direttamente sulla tela, senza prepararla in nessun modo.

Alla prima stesura mi è sembrato fin troppo leggero, sicuramente più liquido di quanto mi aspettassi, il che è un bene, visto che è bene non diluirlo in nessun modo. In seguito l’ho agitato meglio: non ero abituata a farlo con gli acrilici, che di solito non contengono acqua, ma in questo caso avrei dovuto pensarci prima. Alla seconda stesura, infatti, mi è parso più corposo.

Nero assoluto, BLK 3.0 - Esperimenti di nero assoluto by ARTISTANTE

Ho dato il colore in tre strati, lasciando ogni volta asciugare. Non ci mette molto, ma ho aspettato più del necessario tra uno strato e l’altro, per essere sicura di non portare via la base con il pennello umido della seconda mandata. Qui  in foto è ancora bagnato, subito dopo la prima stesura.

Nero assoluto, BLK 3.0 - Esperimenti di nero assoluto by ARTISTANTE

Eccolo asciutto, dopo la terza stesura. Appare uniforme, intenso, vero effetto matte senza riflessi, ma no, non è assoluto: si distingue molto bene la profondità della tela, dipinta anche sui bordi, il che significa che riflette la luce, anche se in minima parte.

Nero assoluto, BLK 3.0 - Esperimenti di nero assoluto by ARTISTANTE

La buona notizia è che, una volta asciutto, è una base eccellente per gli acrilici tradizionali. Ecco il piccolo esperimento, che ho intitolato “Eden 20”.

Nero assoluto, BLK 3.0 - Esperimenti di nero assoluto by ARTISTANTE

In particolare, mi piace la resa del dorato che, si sa, rende molto meglio su basi scure. In più, in questo caso, il contrasto tra l’opacità del nero e il colore metallizzato è decisamente d’effetto.

Nero assoluto, BLK 3.0 - Esperimenti di nero assoluto by ARTISTANTE

Conclusione

BLK3.0 appare opaco e profondo, nessun acrilico nero che abbia provato ha questa vellutata opacità, ma credo che esistano vernici più economiche che ci si avvicinano. Godibile e divertente, ma non una rivoluzione copernicana.
Per il prossimo tentativo, proverò ad applicarlo su diverse basi.

Nero assoluto, BLK 3.0 - Esperimenti di nero assoluto by ARTISTANTE

ESPERIMENTO E RECENSIONE #2

Una tela per la terra: BRACE

Dopo qualche studio, mi sentivo pronta per affrontare una tela più ampia. Ho scelto una 60×60 con uno spessore di 6 cm, per mettere in risalto l’effetto del nero. Il titolo vuole richiamare l’effetto devastate degli incendi che ogni anno privano la terra di consistenti fette di forseta e, di conseguenza, di ossigeno e biodiversità.

Acrilico su tela 60x60x6 cm BRACE - Paola Vagnoli
Acrilico su tela 60x60x6 cm BRACE - Paola Vagnoli

ESPERIMENTO E RECENSIONE #3

Come un gioco: PORTOLANO

Ho provato ad utilizzate il nero BLK3.0 su una tavola di legno, 30×24, anche questa con spessore di 6 cm. Il soggetto è una via di mezzo tra il tabellone di un gioco dell’oca e una mappa, sulla quale spicca una città affacciata sul mare.

Portolano, acrilico e blk3.0 su tavola, 30x24x6cm, Paola Vagnoli
Portolano, acrilico e blk3.0 su tavola, 30x24x6cm, Paola Vagnoli

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Il Nero non è un colore

Il Nero non è un colore

Che cosa è il nero?

Il Nero non è un colore. Se si parla di sintesi additiva, il nero è semplicemente l’assenza di luce, e se si parla di sintesi sottrattiva nero è un materiale che, non riflettendo alcuna lunghezza d’onda della luce che lo investe, non restituisce nessun colore. Forse per questo, più di ogni altro colore, il nero è il fondamento della nostra percezione visiva, e quindi dell’arte e del design. Scopriamo alcuni aspetti interessanti del colore nero per #artistantecolore.

Il colore nero nella storia del design, storia dell'arte e storia del costume. Artistante

Il nero nell’arte Preistorica

Il nero rappresenta anche la prima convenzione della rappresentazione artistica: il contorno. Fin dalle caverne, quando gli uomini hanno cominciato a tracciare con il carbone le figure degli animali, il tratto nero del contorno, lontanissimo dal vero, è stato il tramite che ci ha permesso di fare quel salto essenziale tra natura e rappresentazione. Il pensiero astratto è stato in grado di tradurre un cervo o un cavallo in un contorno e così nascono la pittura, prima, e la scrittura, in seguito.

La grotta di Lascaux in Francia: i dipinti hanno un’età di circa 17.000 anni

Per raccontare il Nero ho pensato di procedere in un modo un po’ diverso dal solito, senza rispettare un unico filo conduttore, ma raccontando tre piccole storie diverse.  Le metterò in ordine cronologico, tanto per rispettare almeno una convenzione, ma, a guardarle bene, vi accorgerete che godono tutte di una longevità fuori dal tempo.

Nero Divino

Tezcatlipoca, il dio nero della Bellezza

Il British Museum è pieno di reperti interessanti e, andandoci più di una volta, è possibile godersi anche le stanze meno frequentate, quelle con le collezioni meno famose e preziose, ma ricche di sorprese. Una di queste è costituita dall’armamentario magico di John Dee (1527-1608), matematico e astrologo di corte di Elisabetta I. Non dobbiamo stupirci del fatto che, all’epoca, un uomo di scienza si dedicasse alla magia: ricordiamoci, ad esempio, che più tardi Newton si dedicò all’alchimia e che il confine fra osservazione scientifica, esoterismo e religione non era ancora stato tracciato.

Il colore nero nella storia del design, storia dell'arte e storia del costume. Artistante
John Dee – (c) Wellcome Library; Supplied by The Public Catalogue Foundation

Nella vetrina dedicata a John Dee, spicca un oggetto nero tondeggiante, con una specie di manico su cui si vede un foro. Si tratta di uno specchio Azteco realizzano in Ossidiana Nera, che lo scienziato usava per riti di divinazione e per parlare con gli angeli.

Ossidiana nera, vi dice qualcosa? Se siete appassionati di Games of Throne, vi ricorderete del “Dragon Glass” e del potere che gli viene attribuito contro l’esercito dei morti. Non è la sola storia legata a questo materiale: la mitologia celtica e norica è costellata di armi di ossidiana in mano ai guerrieri o ai druidi, in grado di veicolare poteri soprannaturali. Tutt’oggi, coloro che praticano la Wicca si servono di strumenti in ossidiana per officiare i loro riti, utilizzando anche specchi simili a quello ritrovato tra gli averi di John Dee, tanto è vero che se ne possono acquistare di diverse dimensioni anche su Amazon.

Il colore nero nella storia del design, storia dell'arte e storia del costume. Artistante

Non sono riuscita a scoprire se John Dee fosse al corrente dell’origine mesoamericana dello specchio, ma è probabile che fosse un fatto noto e importante per caricare l’oggetto di un valore esoterico. Forse sapeva anche che lo specchio veniva usato per officiare dei riti, ma forse non conosceva Tezcatlipoca la divinità cui quei riti erano dedicati.

Il culto di Tezcatlipoca proveniva dalle civiltà Maya e Olmeche, e fu poi mutuato da quella Azteca. Era associato con diversi concetti, la cui convivenza nella stessa figura trovo estremamente interessante: egli è il dio del nord, della notte, del cielo stellato, del vento, della guerra, della stregoneria, ma anche della bellezza e della tentazione. Andava in giro avvolto in pelli di leopardo, con delle bande nere e uno specchio nero fumante, decorato da piume. Elegante e misterioso, era il cavaliere nero e l’antitesi del Quetzacoatl, il cavaliere bianco, di cui era fratello e nemico, e con il quale aveva creato la terra.

Il colore nero nella storia del design, storia dell'arte e storia del costume. Artistante
Tezcatlipoca con le bande nere: nell’immagine si nota lo specchio che portava sul petto.

Sembra proprio che l’associazione della bellezza con il nero, carica di connotati magici, misteriosi e pericolosi, costituisse già per le civiltà precolombiane una sorta di standard, come poi si è affermato nella moda e nel design, fino ai giorni nostri. 

Nero Artistico

Quadrato Nero: la nascita dell’arte astratta

Kazimir Severinovič Malevič aveva 37 anni quando espose il Quadrato Nero, non un ragazzino, eppure l’entusiasmo che la sua opera gli suscitava era talmente travolgente che pare gli avesse tolto il sonno. Non la chiamava neppure opera, ma scoperta: riteneva di aver trovato l’origine, di aver azzerato la storia dell’arte e di aver dato vita ad una nuova era. Era il 1915, a Pietroburgo.

Era il periodo delle avanguardie. Nel 1910 Picasso aveva inaugurato il cubismo e prima, nel 1909, Marinetti aveva lanciato il futurismo con il suo Manifesto. Malevič non voleva essere da meno: scrisse anche lui un manifesto, con il quale intenzionalmente indicava la sua avanguardia come il superamento del futurismo.  Scrive M.: “Noi, che ancora ieri eravamo futuristi (…) ci siamo sbarazzati del futurismo, ed essendo i più audaci abbiamo sputato sull’altare della sua arte”.  Il limite dei Futuristi è di non aver saputo sbarazzarsi del nemico più ostico che grava sull’arte: “l’oggettività”, mentre Malevič trova la via: “la costruzione di forme a partire da niente”. Il nuovo movimento artistico si chiamava Suprematismo, e decreta la superiorità dell’arte astratta e della pura sensibilità artistica, rappresentata dal colore, sull’arte figurativa e sull’oggetto in generale.

Presenta il suo manifesto in una esposizione che intitola “0.10. Ultima mostra futurista” e al centro vi pone il “Quadrato Nero”.  Si capisce che è questo il fulcro della mostra, per il posto speciale che occupa: lo appese ad angolo fra due pareti, in alto, come se le altre opere non fossero che proiezioni del punto zero sulle pareti adiacenti.

Il colore nero nella storia del design, storia dell'arte e storia del costume. Artistante

Il Suprematismo non ebbe molto seguito e Malevič non godette di grande fortuna. La sua intuizione oggi appare ingenua, eppure nessuno prima di lui aveva rinunciato completamente all’oggetto. 

Malevič stesso non riuscì a sostenere il peso di questo assolutismo, tanto è vero che tornò all’arte figurativa. Ma se si osserva un suo autoritratto, ironicamente abbigliato come Cristoforo Colombo, si nota in basso a destra un segno: quel segno.

Il colore nero nella storia del design, storia dell'arte e storia del costume. Artistante
Nero, storia del colore nell'arte e nel design - Orologio russo

ADDENDUM

Il Quadrato Nero di Malevich e il design contemporaneo

 

Grazie ad un post su Twitter di Blank Solver, ho scoperto che Raketa, un noto produttore russo (e prima sovietico) di orologi, ha lanciato nel 2020 un nuovo BIG ZERO dedicato al “Quadrato Nero”, in collaborazione con il Museo Nazionale di arte Russa (Russian State Tretyakov Gallery).  Come si vede in foto, l’opera di Malevich non è semplicemente stampata sul quadrante, ma assemblata con un intarsio in pietra, che viene eseguito a mano su ogno quadrante.

Se siete rimasti affascinati dal connubio BIG ZERO, lo zero cosmico dell’arte astratta e il fascino eterno della pietra, vi potete procurare questo gioeillo ad un prezzo non proprio abbordabile, ma neppure proibitivo, qui.

Nero Assoluto

Vantablack, il nero tecnologico

Mi trovavo nelle profondità della Grotta del Vento in Garfagnana, quando la guida ci radunò in un luogo sicuro e spense le luci. Tutte le luci. Aspettai che l’occhio si abituasse alle tenebre, come di notte in una stanza buia, ma non accadde. Grazie ai rumori e all’eco sapevo che c’erano ancora persone e pareti di roccia intorno a me, ma non avevo mai sperimentato la più totale assenza di una fonte luminosa. Per quel che mi riguarda, quella fu la sola volta che vidi il nero assoluto.

Come abbiamo detto, un oggetto appare nero quando, dello spettro visibile di luce, non riflette che una minima parte. Il Nero Assoluto si avrebbe se l’oggetto, assorbendo tutto lo spettro luminoso, non riflettesse affatto. Ma si può produrre una tinta che sia in grado di opacizzare un oggetto a tal punto?

No, non siamo mai riusciti a riprodurre il nero assoluto, ma la tecnologia ci è andata vicina.

Esiste un materiale composto da nanotubi di carbonio in grado di trattenere fino al 99,96% delle radiazione dello spettro visivo: quindi, per noi, non ha colore e ci appare nero, di un nero assoluto, senza sfumature. Il nome commerciale di questo materiale è Vantablack, che sta per Vertically Aligned NanoTube Arrays Black ed è stato creato in Inghilterra dal National Physical Laboratory.

Ne è stata poi ricavata una vernice spray, che conserva quasi la stessa efficacia e che è stata concepita principalmente a scopi militari, ma qualcuno l’ha sperimentata per il marketing: la BMW ha presentato un concept della X6, nel 2019, completamente verniciato in Vantablack: lo ammetto, decisamente affascinante, ma non andrà in produzione.one.

Il colore nero nella storia del design, storia dell'arte e storia del costume. Artistante

E gli artisti come hanno reagito alla disponibilità di questa nuova tinta rivoluzionaria?
La risposta è una, nel senso che abbiamo a disposizione un solo punto di vista sull’argomento, quello di Anish Kapoor, lo scultore e architetto britannico che ha acquistato i diritti sul Vantablack per l’uso artistico. E quindi, per adesso, dobbiamo accontentarci della sua ricerca.

 

Oppure… Ecco l’iniziativa del mondo dell’arte in risposta a Kapoor: il BLK3.0.

Il colore nero nella storia del design, storia dell'arte e storia del costume. Artistante

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Viola è il colore dei fiori (ma puzza)

Viola è il colore dei fiori (ma puzza)

C’è un colore che ho a lungo tenuto lontano e che sto imparando a conoscere grazie a un nuovo progetto artistico su seta: il viola. Ve ne parlo in questa puntata di #artistantecolore, fra storie note e dettagli sorprendenti.

Foulard quadrato in seta 100% made in Italy, artigianato artistico

Il colore Viola: cosa è?

Il primo dato che salta all’occhio è che Viola è il nome di un fiore, così come Malva, che è il nome del colorante viola più diffuso, e come eliotropo, che è un altro fiore la cui tonalità influenzò la moda dell’800 e oltre. Poi ci sono il glicine e il lilla, ancora nomi di fiori per designarne le sfumature, ma nessuna di queste piante profumate ha attinenza con la fonte delle tinture dalle quali si ricava il colore. Le quali, come vedremo, sono tutte piuttosto puzzolenti.

Viola, storia del colore e del design, storia dell'arte, pattern design, malva - Artistante

Come il verde, il viola è un colore secondario, dato dalla miscela di magenta e ciano. Come tutti i colori secondari, propone una gamma inafferrabile di sfumature, tanto che è spesso descritto a partire dal rosso o dal blu, talvolta dal nero. È fuggente anche all’occhio, essendo il violetto l’ultimo colore percepibile dall’uomo. Eppure, il viola è universalmente associato al potere o al divino.

La Porpora di Tiro

La civiltà sembra nascere già consapevole del valore del colore viola, da cui l’enorme importanza artistica ed economica della Porpora di Tiro, colore che distingueva i senatori romani e che ovunque era sinonimo di lusso e di un elevato status sociale. Oggi, però, è difficile stabilire con certezza a quale sfumatura corrispondesse: la parola latina purpura, infatti, veniva utilizzata per descrivere anche tinte cremisi molto intense e, secondo un giurista romano del III sec, si doveva considerare porpora tutto ciò che non non era il rosso derivato dalla cocciniglia.

Viola, storia del colore e del design, storia dell'arte, pattern design, malva - Artistante

Orazio, nella sua Ars poetica, cita il porpora come metafora del bel parlare, parlando di “drappo porpora” cucito nel discorso, per indicare un passaggio letterario ben riuscito. Curioso come questo accostamento non sia sopravvissuto in italiano, che non ha neppure conservato la parola porpora per designare il viola, ma sia presente nell’inglese, che designa il viola con la parola purple e che indica come “purple prose” la prosa particolarmente ricercata e retorica – oggi usato per lo più nel senso dispregiativo di linguaggio inutilmente ampolloso.

Plinio il Vecchio descrive la tintura più raffinata come venata di nero e ne sottolinea l’associazione al potere e al trionfo, a dispetto del suo odore nauseabondo: la porpora, infatti, veniva ricavata a partire da molluschi marini.

Quali fossero questi molluschi, però, rimase un mistero per molto tempo, poiché la lavorazione della porpora si interruppe con la presa di Costantinopoli e la nascita dell’impero ottomano (1453) e solo nel XIX un biologo marino francese riuscì a stabilire di quale specie si trattasse. Di recente, negli anni 2000, alcuni chimici hanno tentato di riprodurre con esattezza il porpora di Tiro, riuscendoci al costo di una strage di molluschi che ha senso solo se si giustifica la ricerca scientifica, ma che non avrà nessun seguito sul mercato – e ci mancherebbe.

Viola, storia del colore e del design, storia dell'arte, pattern design, malva - Artistante

Il viola Oricello

Qualsiasi fosse il segreto della lavorazione e l’esatta sfumatura cromatica del porpora, il viola era certamente un colore per pochi e tale restò fino a tempi relativamente recenti.

L’unica alternativa ai costosi molluschi, infatti, venne introdotta in occidente dai mercanti italiani solo nel 1300, senza risolvere i problemi di approvvigionamento. Si trattava di un lichene, a dire il vero piuttosto diffuso, le cui proprietà tintorie, però, erano note solo ai cinesi. Questa tintura, detta Oricello, era, sì, meno costosa del porpora, ma i licheni non si coltivano e crescono molto lentamente e, una volta esaurito un sito di raccolta, era necessario cercarne un altro. Quanto a fetore, poi, non c’era stato un miglioramento rispetto ai molluschi: il nome Oricello, infatti, deriva da urina, ampiamente usata come fonte di ammoniaca per estrarre il colore dal lichene.

Viola, storia del colore e del design, storia dell'arte, pattern design, malva - Artistante

La famiglia di mercanti in questione fece ugualmente fortuna: il cognome era originariamente Alamanno, cambiato poi in Oricellai e quindi Rucellai, nome tutt’ora piuttosto comune a Firenze.

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Il colore Viola diventa mainstream grazie alla chimica

Ci tocca aspettare il XIX secolo e il trionfo della chimica per avere un viola ampiamente disponibile. Lo sintetizzò per caso Perking, il cui intento era quello di ricavare il chinino dal catrame di carbone, utile a curare la malaria e per tanto molto richiesto. Si imbatté invece in un liquido denso e violaceo di nessuna utilità farmacologica, ma che volle testare su delle pezze di seta, per scoprire che non scoloriva alla luce o con i lavaggi. Intuendo subito le potenzialità commerciali del suo errore, chiamò l’intruglio Porpora, ma decise, in seguito, di cambiare il nome con quello di un fiore: nacque così il color Malva. Fu il boom del viola nella moda, soprattutto quella Vittoriana.

Viola, storia del colore e del design, storia dell'arte, pattern design, malva - Artistante
Viola, storia del colore e del design, storia dell'arte, pattern design, malva - Artistante

Viola e Sfortuna: da dove deriva questa associazione?

Nel caso degli artisti, soprattutto nel teatro, questa idea è legata alla quaresima. Il viola è da sempre il colore del periodo che precede la Pasqua, scelto dal clero per il suo intenso valore spirituale di ascensione al divino. Nel periodo di quaresima, però, gli spettacoli erano proibiti e gli artisti di strada che tentavano di guadagnarsi da vivere venivano perseguiti. 

C’è poi il legame del viola con il lutto, che nasce in epoca vittoriana. Il viola veniva associato all’eliotropo, un fiore dall’intenso profumo di vaniglia che si pensava seguisse il sole e che prese a significare devozione e fedeltà: per questo, il viola eliotropo era concesso alle vedove al posto del nero.

Il Colore Viola nell’Arte

Trattandosi di un colore raro, il viola fu sempre riservato agli imperatori e al divino, talvolta utilizzato per il manto della Madonna. La rivalsa democratica del viola si ebbe con gli impressionisti che sembravano vederlo ovunque: convinti che l’ombra non fosse nera, ma la risultanza di diversi colori, di cui una delle componenti era l’azzurro del cielo, gli impressionisti usarono il viola per la luce, più del giallo. Il giallo, del resto, è il colore complementare e, dopo aver fissato a lungo la luce, chiudendo gli occhi ciò che vediamo è il bagliore violaceo dei fosfeni. Tutto ciò fece dichiarare a Monet, nel 1881, di aver trovato, finalmente, il vero colore dell’atmosfera: “L’aria fresca è violetta. Fra tre anni, tutti lavoreranno con il violetto”. Oggi sappiamo che, mentre Renoir e altri pittori rimasero fedeli all’usanza di miscelare blu cobalto e rosso per ottenere il viola, Monet divenne un entusiasta utilizzatore le Malva e delle tinte derivate.

Viola, storia del colore e del design, storia dell'arte, pattern design, malva - Artistante

Molte delle informazioni che trovate in questo articolo sono tratte dal fantastico libro “Atlante sentimentale dei colori” di Kassia St Claire, che vi consiglio anche come lettura estiva.

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