Viola è il colore dei fiori (ma puzza)
Colore rarissimo fino al 1800, il viola è designato con nomi di fiori: viola, malva, glicine, lilla... Eppure, la sua origine non ha nulla a che vedere con i fiori.
C’è un colore che ho a lungo tenuto lontano e che sto imparando a conoscere grazie a un nuovo progetto artistico su seta: il viola. Ve ne parlo in questa puntata di #artistantecolore, fra storie note e dettagli sorprendenti.
Il primo dato che salta all’occhio è che Viola è il nome di un fiore, così come Malva, che è il nome del colorante viola più diffuso, e come eliotropo, che è un altro fiore la cui tonalità influenzò la moda dell’800 e oltre. Poi ci sono il glicine e il lilla, ancora nomi di fiori per designarne le sfumature, ma nessuna di queste piante profumate ha attinenza con la fonte delle tinture dalle quali si ricava il colore. Le quali, come vedremo, sono tutte piuttosto puzzolenti.
Come il verde, il viola è un colore secondario, dato dalla miscela di magenta e ciano. Come tutti i colori secondari, propone una gamma inafferrabile di sfumature, tanto che è spesso descritto a partire dal rosso o dal blu, talvolta dal nero. È fuggente anche all’occhio, essendo il violetto l’ultimo colore percepibile dall’uomo. Eppure, il viola è universalmente associato al potere o al divino.
La civiltà sembra nascere già consapevole del valore del colore viola, da cui l’enorme importanza artistica ed economica della Porpora di Tiro, colore che distingueva i senatori romani e che ovunque era sinonimo di lusso e di un elevato status sociale. Oggi, però, è difficile stabilire con certezza a quale sfumatura corrispondesse: la parola latina purpura, infatti, veniva utilizzata per descrivere anche tinte cremisi molto intense e, secondo un giurista romano del III sec, si doveva considerare porpora tutto ciò che non non era il rosso derivato dalla cocciniglia.
Orazio, nella sua Ars poetica, cita il porpora come metafora del bel parlare, parlando di “drappo porpora” cucito nel discorso, per indicare un passaggio letterario ben riuscito. Curioso come questo accostamento non sia sopravvissuto in italiano, che non ha neppure conservato la parola porpora per designare il viola, ma sia presente nell’inglese, che designa il viola con la parola purple e che indica come “purple prose” la prosa particolarmente ricercata e retorica – oggi usato per lo più nel senso dispregiativo di linguaggio inutilmente ampolloso.
Plinio il Vecchio descrive la tintura più raffinata come venata di nero e ne sottolinea l’associazione al potere e al trionfo, a dispetto del suo odore nauseabondo: la porpora, infatti, veniva ricavata a partire da molluschi marini.
Quali fossero questi molluschi, però, rimase un mistero per molto tempo, poiché la lavorazione della porpora si interruppe con la presa di Costantinopoli e la nascita dell’impero ottomano (1453) e solo nel XIX un biologo marino francese riuscì a stabilire di quale specie si trattasse. Di recente, negli anni 2000, alcuni chimici hanno tentato di riprodurre con esattezza il porpora di Tiro, riuscendoci al costo di una strage di molluschi che ha senso solo se si giustifica la ricerca scientifica, ma che non avrà nessun seguito sul mercato – e ci mancherebbe.
Qualsiasi fosse il segreto della lavorazione e l’esatta sfumatura cromatica del porpora, il viola era certamente un colore per pochi e tale restò fino a tempi relativamente recenti.
L’unica alternativa ai costosi molluschi, infatti, venne introdotta in occidente dai mercanti italiani solo nel 1300, senza risolvere i problemi di approvvigionamento. Si trattava di un lichene, a dire il vero piuttosto diffuso, le cui proprietà tintorie, però, erano note solo ai cinesi. Questa tintura, detta Oricello, era, sì, meno costosa del porpora, ma i licheni non si coltivano e crescono molto lentamente e, una volta esaurito un sito di raccolta, era necessario cercarne un altro. Quanto a fetore, poi, non c’era stato un miglioramento rispetto ai molluschi: il nome Oricello, infatti, deriva da urina, ampiamente usata come fonte di ammoniaca per estrarre il colore dal lichene.
La famiglia di mercanti in questione fece ugualmente fortuna: il cognome era originariamente Alamanno, cambiato poi in Oricellai e quindi Rucellai, nome tutt’ora piuttosto comune a Firenze.
Ci tocca aspettare il XIX secolo e il trionfo della chimica per avere un viola ampiamente disponibile. Lo sintetizzò per caso Perking, il cui intento era quello di ricavare il chinino dal catrame di carbone, utile a curare la malaria e per tanto molto richiesto. Si imbatté invece in un liquido denso e violaceo di nessuna utilità farmacologica, ma che volle testare su delle pezze di seta, per scoprire che non scoloriva alla luce o con i lavaggi. Intuendo subito le potenzialità commerciali del suo errore, chiamò l’intruglio Porpora, ma decise, in seguito, di cambiare il nome con quello di un fiore: nacque così il color Malva. Fu il boom del viola nella moda, soprattutto quella Vittoriana.
Nel caso degli artisti, soprattutto nel teatro, questa idea è legata alla quaresima. Il viola è da sempre il colore del periodo che precede la Pasqua, scelto dal clero per il suo intenso valore spirituale di ascensione al divino. Nel periodo di quaresima, però, gli spettacoli erano proibiti e gli artisti di strada che tentavano di guadagnarsi da vivere venivano perseguiti.
C’è poi il legame del viola con il lutto, che nasce in epoca vittoriana. Il viola veniva associato all’eliotropo, un fiore dall’intenso profumo di vaniglia che si pensava seguisse il sole e che prese a significare devozione e fedeltà: per questo, il viola eliotropo era concesso alle vedove al posto del nero.
Trattandosi di un colore raro, il viola fu sempre riservato agli imperatori e al divino, talvolta utilizzato per il manto della Madonna. La rivalsa democratica del viola si ebbe con gli impressionisti che sembravano vederlo ovunque: convinti che l’ombra non fosse nera, ma la risultanza di diversi colori, di cui una delle componenti era l’azzurro del cielo, gli impressionisti usarono il viola per la luce, più del giallo. Il giallo, del resto, è il colore complementare e, dopo aver fissato a lungo la luce, chiudendo gli occhi ciò che vediamo è il bagliore violaceo dei fosfeni. Tutto ciò fece dichiarare a Monet, nel 1881, di aver trovato, finalmente, il vero colore dell’atmosfera: “L’aria fresca è violetta. Fra tre anni, tutti lavoreranno con il violetto”. Oggi sappiamo che, mentre Renoir e altri pittori rimasero fedeli all’usanza di miscelare blu cobalto e rosso per ottenere il viola, Monet divenne un entusiasta utilizzatore le Malva e delle tinte derivate.
Molte delle informazioni che trovate in questo articolo sono tratte dal fantastico libro “Atlante sentimentale dei colori” di Kassia St Claire, che vi consiglio anche come lettura estiva.
Seta pura, orlati a mano, fantasie colorate (e c’è anche il viola).
Colore rarissimo fino al 1800, il viola è designato con nomi di fiori: viola, malva, glicine, lilla... Eppure, la sua origine non ha nulla a che vedere con i fiori.
Un tool di adobe per creare e salvare le tue palette colore preferite.
Torniamo un po' a scuola, vi va? Ripassiamo un po' di teoria spiccia sul colore.
Avete presente quegli accessori talmente specializzati, che lì per lì sembrano inutili, ma alla fine non si riesce più a farne a meno? Tipo l’attrezzo per fare le zucchine a riccioli, o quello per tagliare la mela in otto spicchi perfetti. Ecco, Adobe Color, per me, è uno di quegli attrezzi.
Mi spiace solo che abbiamo cambiato nome: quando l’hanno proposto, si chiamava Kuler e io continuo, imperterrita, a chiamarlo così.
A creare e conservare colori. Più precisamente, palette formate da cinque colori ciascuna. Funziona con una registrazione ed è completamente gratuito.
Per chi utilizza i software grafici Adobe, le palette salvate possono essere esportate e quindi importate nel piano di lavoro per applicarle alle grafiche su cui si sta lavorando.
Ma anche se non siete designer, conservare una propria libreria di palette è un modo pratico e divertente di crearsi un taccuino di ispirazioni, per l’arredamento di casa o l’abbigliamento.
Adobe Color è molto utile anche a tutti quelli che si occupano di comunicazione: una palette colore efficace veicola il messaggio con la stessa efficacia di uno slogan.
Servendosi della ruota colore e aiutandosi con le opzioni preimpostate, si parte da un colore principale per creare gli abbinamenti. Le opzioni sono molte, dalle più classiche basate sugli opposti complementari, alle triadi variamente distanziate. Di ogni colore, si impostano facilmente tonalità, saturazione e luminosità.
Una volta raggiunto l’effetto desiderato, si può salvare la palette nella propria libreria, in modo da poterla ritrovare per future ispirazioni.
Adobe Color mette a disposizione una serie di funzioni accessorie molto interessanti e divertenti.
Un modo, se vogliamo poetico, di definire il colore è ciò che resta della luce.
Gli oggetti che ci circondano vengono colpiti dalla luce bianca solare. Una parte di questa luce viene assorbita dall’oggetto, mentre una parte viene riflessa. La lunghezza d’onda del riflesso determina il colore dell’oggetto che stiamo osservando.
Già da questo, capiamo che ci sono due modi di approcciare il colore, ossia quello della sorgente di luce e quello dell’oggetto che l’assorbe.
Il sole emette tutta una gamma di frequenze, alcune per noi invisibili, e altre che, sommate, percepiamo come luce bianca.
A scuola, abbiamo fatto tutti l’esperimento del prisma: attraversato dalla luce, il cristallo frange il fascio bianco nelle diverse lunghezze d’onda che lo compongono, restituendo la striscia cromatica dello spettro, un arcobaleno composto da rosso, arancio, giallo, verde, blu, indaco e viola.
Il primo a notarlo fu Newton, nel 1665.
Senza accorgercene, stiamo già parlando di sintesi additiva del colore, che è propria di tutte le fonti in grado di emettere luce, come il sole, ma anche una lampadina o lo schermo dello smartphone.
Prendiamo lo schermo, ad esempio. Per emettere la luce bianca, ogni pixel del vostro schermo emetterà al massimo della potenza le onde corrispondenti ai tre colori primari, che sono il rosso, il verde e il blu. Vi sarete già imbattuti in questa sigla, RGB, red green blue, ad esempio regolando le impostazioni del televisore. La somma dei colori, quindi, genera il bianco e per cui si parla di sintesi additiva.
Diverso è il caso degli oggetti che non sono in grado di emettere luce, ma soltanto di rifletterla. In questo caso, il colore è il risultato di una sottrazione: una parte della luce solare, come abbiamo detto, viene assorbita, ed è quella che resta che, riflessa verso il nostro occhio, ci fa percepire il colore. Stiamo parlando di sintesi sottrattiva del colore.
Nella prima parte della Guida ci soffermeremo sulla sintesi sottrattiva, per parlare di pittura, ma anche di design e di stampa.
Abbiamo già citato i colori primari della sintesi additiva, rosso, verde e blu, e della sigla RGB.
Nella sintesi sottrattiva, i colori primari sono diversi, e questo punto è molto importante per capire, ad esempio, come mai la resa dei colori a schermo non è mai identica a quella a stampa. Ma ci torneremo in seguito.
La sigla di riferimento in questo caso è CMY, dove Y sta per Yellow, in inglese. A queste tre lettere, vedrete quasi sempre accostata una K, che sta per blacK. Il nero non è un colore primario: si ottiene dalla somma degli altri colori. In stampa, però, se dovessimo ottenere il nero impiegando ogni volta gli altri colori, ogni pagina risulterebbe più complicata e dispendiosa, quindi i plotter e le stampanti usano di solito quattro cartucce.
Si parla per questo di stampa in quadricromia, e i colori si indicano con le percentuali di C-M-Y-K che ogni punto deve contenere.
Esistono anche altri tipi di stampa, a sei, dieci o dodici colori, ma si tratta di stampe speciali per migliorare la qualità fotografica delle immagini.
Di fatto, non esiste sfumatura di colore che non si possa ottenere a partire dai tre colori primari.
Per orientarci nella composizione dei colori, ci serviamo della ruota.
La ruota è utile per visualizzare il rapporto fra i colori primari e in che modo, mescolandosi, generino i colori secondari e terziari. I colori secondari si ottengono mescolando in egual misura due primari, mentre nei terziari il rapporto è di 2:1.
Modificando queste proporzioni, si ottengono tutte le sfumature mediane.
Avrete notato qualcosa di strano, da piccoli, quando provavate a mettere in ordine i pennarelli nella scatola, in modo da creare una gradazione armoniosa come quella della ruota. No?
Allora forse non possiamo essere amici, perché per la sottoscritta l’insuccesso costituiva un vero dramma, e l’insuccesso era in agguato ogni volta che prendevo il mano un colore specifico.
Quale? Quello che manca, ovvio.
Il nero, abbiamo detto, è la somma dei colori primari in egual misura. Quindi, in stampa, senza usare la cartuccia del nero, diremmo: C 100 – M 100 – Y 100.
Le diverse gradazioni di grigio si ottengono diminuendo l’intensità dei colori, il che significa creare un colore meno coprente, che lascia trasparire il bianco del foglio.
Un grigio medio è C 50 – M 50 – Y 50.
Quando provate ad ottenere lo stesso effetto mescolando il colore “a mano”, spremendolo dai tubetti sulla tavolozza, vi riuscirà molto difficile mantenere le proporzioni esatte fra i tre colori primari. Quello che otterrete è probabilmente un grigio freddo, se caricate di blu o giallo, e un grigio caldo se caricate di rosso. Oppure un marrone.
Il marrone non è un colore: è una sfumatura di grigio “sballata”.
La stretta parentela del marrone con il grigio fa sì che sia un colore difficile da creare. Regolare le proporzioni di tre ingredienti, anziché due, rende il gioco complicato, soprattutto perché si rischia, ad ogni errore, di ricadere in un grigiastro senza carattere, quando si stava rincorrendo un intenso Terra di Siena bruciato.
Per questo motivo, i pittori, anche quelli piuttosto esperti, preferiscono risparmiare sull’acquisto di sfumature particolari di verde, viola o arancio, ma quasi mai rinunciano a dotare il loro arsenale di almeno due o tre tipi di marrone, che possono arrivare a cinque se si includono le ocre.
Quando parliamo di colore nel senso percettivo, non è facile descriverlo con esattezza. Un fisico potrebbe descrivere l’onda, con la sua lunghezza e la sua frequenza, ma artisti, grafici e designer utilizzano altri parametri.
Quelli standard sono tre, più uno:
Tonalità
La tinta, il colore, ad esempio il magenta.
Saturazione
L’intensità della tonalità. Possiamo andare da un magenta intenso e squillante ad un rosso smorto. Quando si porta a zero la saturazione, si arriva al grigio.
Luminosità
La quantità di luce riflessa. Più luce viene riflessa, più il colore percepito si avvicinerà al bianco.
Temperatura
La classificazione dei colori in base alla loro temperatura si riferisce ad un’intonazione psicologica, in cui i colori nell’emisfero rosso-arancio richiamano il caldo, e quelli nell’emisfero blu-verde richiamano il freddo.
Colore rarissimo fino al 1800, il viola è designato con nomi di fiori: viola, malva, glicine, lilla... Eppure, la sua origine non ha nulla a che vedere con i fiori.
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Torniamo un po' a scuola, vi va? Ripassiamo un po' di teoria spiccia sul colore.