XIV. La Temperanza
Il concetto stesso di temperanza è ostico, soprattutto nel mondo che viviamo, tanto che mi è venuto più naturale catapultare la scena in un abisso illuminato da enormi meduse.
Perché le meduse? Intanto sono fra gli incontri acquatici che preferisco, nonostante le scottature, per un puro fatto estetico. Inoltre, tornando al contesto della carta, sono creature misteriose sospese fra il regno animale e il regno vegetale, così primitive e semplici da essere sopravvissute immutate di era in era, come se avessero trovato la ricetta perfetta, il giusto equilibrio fra tutte le spinte evoluzionistiche che hanno così potuto ignorare.
In questo scenario fluttuante, una donna, o forse una sirena, gioca con due coppe in cui miscela la luce che le fa anche da chioma.
Nel mio immaginario, l’acrobatica virtù della Temperanza non può essere rappresentata, se non in sospensione nel brodo primordiale, dove ogni ingrediente viene sapientemente dosato per dare origine alla vita, quindi a ciò che è possibile, in contrapposizione a ciò che, per un errore nella ricetta, non potrebbe essere duraturo.