XIII. La carta senza nome
Comunemente detta Morte, questa carta in verità non ha nome. Innominata, rimane esclusa dal nostro campo d’azione, dal nostro potere deterministico. Dove è lei, non siamo noi. Dove è lei, regna incontrastata.
Qui vedete una regina, senza dubbio, che scorrazza con la falce e una testa mozzata nella mano scheletrica: ho rappresentato la Morte nel più classico dei modi, mentre si aggira nell’architettura elaborata di un cimitero monumentale, con un corvo bianco che si aggrappa al suo mantello.
Ho usato per questa carta le stesse tonalità che avevo sperimentato nel bagatto, sfruttando cioè gli opposti fra giallo e viola, rendendo la scena luminosa, dorata, incastonata in un crepuscolo che potrebbe preludere alla notte o all’aba. Oscurità eterna o nuovo giorno? La Morte è la fine, o, come dice qualcuno, solo la curva della strada? La Morte è neutrale per sua stessa natura: l’unica certezza è il cambiamento.
Mi sono poi concessa una licenza poetica, costellando il mantello regale di occhi aperti, in contrasto con le sue orbite vuote, perché la Morte sarà pure cieca e uguale per tutti, ma avere coscienza della propria mortalità apre gli occhi e rappresentata il primo passo, fondamentale, verso una nuova consapevolezza.