VIII. La Giustizia
Le sembianze della Giustizia ricordano quelle di una donna nativa americana, fra i popoli che più hanno subito ingiustizie al mondo. Non era con questa intenzione che ho iniziato a disegnare la carta, ma più andavo avanti e più sentivo il peso della realtà quotidiana sull’ideale astratto invocato dall’arcano.
La mia indigena ha gli occhi chiusi e nelle mani regge due coppe che contengono un teschio ciascuna, non perché io creda che l’unica giustizia si ottenga post mortem, ma perché alla giustizia interessa solo l’essenziale. Così, scarnificata fino all’osso, la dicotomia fra giusto e sbagliato è idealmente meno sfuggente, nuda come la giustizia dovrebbe essere.
Non brandisce la spada, che giace ai suoi piedi, rimandato il momento in cui dovrà manifestare il verdetto ed eseguire la sentenza.
Forse perché credo che la Natura sia l’unica a detenere la virtù dell’imparzialità, trovo giusto che la Giustizia sia accovacciata sulla nuda terra, e non imbalsamata su un piedistallo.